Andrea Raspanti sulle questioni del comitato portuale


ECCO LA TRACCIA DELL’INTERVENTO DI LUNEDÌ 14 LUGLIO 2014 IN CONSIGLIO COMUNALE, RELATIVAMENTE ALLE QUESTIONI 
AL CENTRO DEL PROSSIMO COMITATO PORTUALE. 

Per quanto di assoluto interesse pubblico, le questioni portuali sfuggono spesso alla comprensione di ampi strati della popolazione, col risultato che un ambito così importante dell’economia cittadina è sottratto al dibattito collettivo e, se mi concedete il salto, alla politica e alla democrazia. Perché non c’è democrazia senza partecipazione, e l’intelligibilità è la condizione indispensabile della partecipazione. 

Ma non solo la partecipazione è condizione di democrazia. La democrazia ha molte zampe, tutte ugualmente importanti. Una, di certo una delle più minacciate e bistrattate, oggigiorno, è il lavoro.

Mi preme ricordare, nel mio primo intervento in questo consiglio comunale in cui sono onorato di sedere, che la nostra Costituzione, nata dall’antifascismo, si distingue dal resto delle altre occidentali per una formula abusata ormai fino alla svuotamento di senso: l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. Una formula, questa, che condensa un’analisi storica e sociologica di fondamentale importanza: riconosce e rivendica il ruolo del lavoro, inteso come attività di produzione dei mezzi della propria emancipazione dallo stato di bisogno materiale e, quindi, della propria indipendenza di giudizio e libertà di pensiero, nel processo che ha portato alla società democratica moderna. Quindi non solo non esiste sviluppo economico senza posti e buone condizioni di lavoro, ma non esiste neanche la democrazia. Oggi che il diritto al lavoro è entrato in crisi- il lavoro manca e chi ne ha uno per mantenerlo è costretto spesso in rapporti sempre più autoritari e ricattatori- è la democrazia stessa a entrare in crisi. È questo valore del lavoro come base della democrazia, insieme a quello della politica come perseguimento dell’interesse collettivo, ad averci guidato nell’analisi dei problemi all’odg e nell’elaborazione dell’atto che mi appresto a descrivere con un’ultima premessa, Sindaco, e cioè questa: il nostro documento non intende solo impegnarLa ad alcune proposte di fatto ma anche al riconoscimento dello stretto e indissolubile legame che lega lavoro e democrazia.

La questione della Porto 2000 è nota. Vale tuttavia forse la pena insistere sul fatto che non stiamo parlando di una società qualunque, ma di un asset strategico per lo sviluppo di un comparto, quello turistico, di cui il futuro di Livorno non può fare a meno. AP ha recentemente incaricato un advisor, KPMG, di stimarne il valore. L’esito dell’esame è stato sorprendente: Porto 2000 vale attualmente circa 7 milioni di euro, obiettivamente pochi. Sebbene non abbiamo la capacità di entrare nel merito dei pareri tecnici, sappiamo leggere abbastanza bene da capire che molto ha pesato sulla valutazione la situazione di ritardo infrastrutturale del nostro territorio e del nostro scalo e la scarsità di servizi a sostegno dell’attività della società. In una simile situazione, il rischio maggiore è l’acquisto della maggioranza delle quote da parte di un grande monopolista con solidi interessi in altri scali. A nostro parere questo sarebbe lo scenario peggiore. Per i lavoratori e per Livorno. I casi del call center di Guasticce come della MTM sono un esempio lampante sotto gli occhi di tutti noi. Alla luce di queste considerazioni, riteniamo che Lei, Sindaco, debba proporsi nei prossimi Comitati Portuali come garante dell’interesse della popolazione che ha espresso questo consiglio e la sua carica nonché del diritto dei dipendenti di Porto 2000 a mantenere il posto di lavoro. In questo senso la invitiamo a considerare se esistano i margini per chiedere un ulteriore rinvio della gara e, contestualmente, per imprimere un’accelerazione all’approvazione dei principali strumenti urbanistici riferiti all’area portuale, alla rassegnazione della concessioni e allo sviluppo di una rete di servizi sul territorio urbano che, in una logica sistemica, possano sostenere l’attività della società. 

La questione di Alp è innanzitutto la questione di conoscere l’entità delle sue difficoltà, ma prima ancora di riconoscere il suo fondamentale ruolo per l’efficienza e l’operatività del Porto. Oggi esiste un dibattito, in vista della prossima riforma dei porti, sul senso stesso dell’Agenzia. In molti danno l’Alp per spacciata. Pur nella legittimità di tutte le posizioni, crediamo che valga la pena essere chiari sull’alternativa a cui ci troviamo davanti: o decidiamo di difendere e preservare le riserve di lavoro flessibile nella forma regolamentata che l’articolo 17 della legge 84/94 prevede per far fronte ai picchi di attività, oppure apriamo a una deregolamentazione col passaggio a un sistema interinale tout court. Va da sé che a noi la seconda soluzione non piace: perché non ci piace la precarietà, e perché in questo caso la precarietà si accompagnerebbe a un abbassamento della qualità della forza lavoro, inevitabilmente non specializzata, con tutti i rischi che questo comporta anche sul piano della sicurezza. Il porto, e questa è opinione comune in ogni parte del mondo, richiede lavoratori formati ad hoc. Crediamo quindi che si debba mettere Alp innanzitutto nelle condizioni di operare nel pieno delle sue possibilità, laddove ci sono molte testimonianza del fatto che questo non accade, e mi riferisco tra l’altro a un esposto presentato alcuni mesi fa all’Ispettorato del lavoro da parte della RSU dell’Agenzia. Come? Per prima cosa si deve far rispettare alle imprese autorizzate e concessionarie il Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro portuale, ricorrendo per esempio ai controlli previsti dall’Ordinanza 9 dell’aprile scorso, che impone alle imprese autorizzate di dare comunicazione all’AP dei turni e dei lavoratori che vi sono impegnati prima dell’inizio dei turni stessi. Secondariamente vale la pena prendere in considerazione la revisione dell’Ordinanza 40 del 2001 e dell’annesso regolamento, che definiscono i servizi portuali: è nostra convinzione infatti che sia possibile estendere l’ambito di impiego dei lavoratori art. 17. Si deve infine incoraggiare, da parte di tutte le 21 imprese portuali, il riconoscimento del valore dell’Alp attraverso l’atto formale dell’ingresso nella compagine sociale dell’Agenzia. Crediamo altresì che valga la pena valutare le soluzioni di emergenza previste dal comma 15bis dell’art. 17 col punto fermo, però, di mantenere il saldo occupazionale al di sopra della soglia zero. Il tutto, giova ripeterlo, consegue dalla nostra convinta presa di posizione per il diritto al lavoro e a condizioni dii lavoro dignitose. 

Chiudo con un appello a Lei, Sindaco, e alla Giunta: non chiudiamoci su Livorno. Non dimentichiamo lo stretto rapporto che lega le questioni che stiamo qui dibattendo con quello che sta succedendo su scala nazionale e internazionale. A nome del nostro gruppo consiliare , Le chiedo, Sindaco, un impegno affinché Lei si batta, nelle sedi istituzionali disponibili (e penso alla Regione ma anche all’Anci), per far recepire al governo la necessità di un serio lavoro di promozione di elementi di regolamentazione nei traffici marittimi internazionali e per scongiurare una riforma che, perseguendo una politica di accorpamenti delle AP, minaccia di declassare Livorno al rango di porto di secondaria importanza alle dipendenze dello scalo di La Spezia. Non possiamo davvero permettercelo.