La corsa senza freni del treno italiano


di Edward Hugh, 17 agosto 2014

http://fistfulofeuros.net/afoe/the-italian-runaway-train/

 

Nonostante il testo originale sia stato pubblicato alcune settimane fa non ha, secondo noi, perso d’attualità: alcuni passaggi, certo, fanno previsioni in parte avveratesi o sulla via per avverarsi ma l’analisi della situazione del nostro debito pubblico ci pare stringente e lo sguardo rivolto al nostro Paese dall’esterno è sempre prezioso. Quindi invitiamo tutti e tutte ad un’attenta lettura.
(#BuongiornoLivorno)

 

Sulla stampa e in ambito accademico, nell’ultima settimana, si è discusso molto se l’attuale contrazione in Italia costituisca una Triple Dip Recession [“(cadi, recuperi un po’, ricadi, recuperi appena appena e poi cadi di nuovo…). Va detto che una Triple Dip va ormai più interpretata come un Declino Continuativo invece che come uno schema discontinuo di cadute e recuperi”;

cfr. http://www.ilgrandebluff.info/2014/08/itaglia-recessione-triple-dip-30-anni.html e http://www.tosc.cgil.it/archivio37_toscana-lavoro-news_0_18907.html, NdT] o semplicemente la prosecuzione di quanto sta succedendo da molti, molti anni. Questione teorica interessante ma, in realtà, ciò che sta accadendo in Italia in questo momento va ben oltre i problemi di un comitato di analisi della recessione. Il vero problema che si pone nel contesto della zona euro in questo momento è di gran lunga più specifico. Sarà la BCE fare QE1? E se sì, quando premerà l’interruttore? E se non lo facesse, quali potrebbero essere le conseguenze? Forse vale la pena di analizzare attentamente il caso italiano. Che cosa è probabile che accada al debito italiano se non vi sarà alcun intervento rapido della BCE ? Diamo uno sguardo alle dinamiche.

Ormai praticamente chiunque sa che l’Italia, dopo la contrazione del PIL dello 0,2% nel secondo trimestre, è di nuovo in recessione.

 

  

Prospettive economiche globali – Prodotto Interno Lordo (trimestrale,

la percentuale cambia di trimestre in trimestre) – Fonte: Istat

  

Non solo questo risultato suggerisce che l’Italia è ormai in pieno Triple Dip (o in un ventennio di declino), ma anche che il PIL è tornato allo stesso livello del 2000, quando il paese è entrato nella valuta dell’Unione Europea.

 

 

Prospettive economiche globali – Prezzo costante del PIL italiano

(Miliardi di euro su base trimestrale, prezzi del 2005, aggiustamento stagionale)

Fonte: Eurostat

 

Il problema è che in Italia la tendenza del tasso di crescita del PIL è spaventosamente bassa – forse ormai negativa – e nulla di quanto accaduto dopo la crisi finanziaria appena conclusa suggerisce che tale andamento stia per invertirsi a breve termine. Al contrario, ci sono buone ragioni per pensare che la crescita potrebbe addirittura ulteriormente peggiorare.

  

 

Prospettive economiche globali – PIL italiano – media di movimento 1980-2010

(annuale, percentuale di cambiamento)

Fonte: Istat, Fondo Monetario Internazionale, previsioni FMI 2014)

  

In primo luogo la popolazione in età lavorativa in Italia è ormai in calo e molti giovani italiani con un livello di istruzione superiore, donne e uomini, stanno lasciando il paese per andare a lavorare altrove.

 

 

Prospettive economiche globali – Popolazione italiana in età lavorativa

(mensile, età 15-64, in milioni)

 

 

 

 

Italiane e italiani trasferiti nel Regno Unito

(Fonte: Ministero dell’Interno/Italia, Dipartimento per il lavoro e le pensioni/Regno Unito)

In blu: (statistiche italiane ufficiali) – Registrazioni presso l’AIRE – Associazione Italiana Residenti all’Estero

In rosso: statistiche del Regno Unito (assegnazione del National Insurance Number)

 

 

E ora c’è un nuovo problema: non solo abbiamo l’eredità di un debito elevato e di bassa crescita ma anche bassa inflazione o addirittura deflazione. L’inflazione in Italia è scesa a zero.

 

 

 Prospettive economiche globali – Indice italiano dei prezzi al consumo, armonizzato

(mensile, variazione percentuale annuale)

  

La combinazione di bassa inflazione e bassa crescita significa che ora è l’andamento del PIL nominale a contare realmente. Il PIL nominale è un PIL non corretto dall’inflazione (ovvero PIL parametrato ai prezzi correnti e non a quelli costanti). Se l’inflazione rimane bassa o diventa addirittura negativa, allora il PIL nominale difficilmente aumenterà e può anche continuare a contrarsi (come è accaduto in Giappone). Il risultato è destinato a essere che il rapporto tra debito pubblico lordo e PIL supererà il 135,6% raggiunto a marzo.

 

 

 Prospettive economiche globali – Debito governativo lordo dell’Italia

(annuale, in percentuale sul PIL) Fonte: FMI, previsioni FMI 2013

 

 

Uno degli argomenti spesso addotti su come invertire questa dinamica è che l’Italia dovrebbe avere una “grande” eccedenza di bilancio primario. Bisogna però accordarsi sulla portata di “grande”, dato che l’Italia di fatto ha avuto un’eccedenza primaria2 (entrate – spese prima di pagare gli interessi sul debito) sin dai primi anni ’90 ma ciò non ha fermato il peso del debito che non ha minimamente smesso di crescere.

Il “FMI Fiscal Monitor 2013” (documento FMI sul monitoraggio fiscale, in http://www.imf.org/external/pubs/ft/fm/2013/01/pdf/fm1301.pdf) delinea uno scenario in cui gli obblighi di spesa degli stati sovrani europei fortemente indebitati prima di tutto si stabilizzano e poi scendono al 60% del livello stabilito dall’Unione Europea con il Fiscal Compact entro il 2030. Il documento fa ipotesi su tassi d’interesse, tassi di crescita e relative variabili e calcola l’eccedenza primaria di bilancio (l’eccedenza riguardante esclusivamente il pagamento degli interessi) con aggiustamenti ciclici, coerenti allo scenario; a quanto si legge, più pesante è il debito maggiore è il tasso d’interesse, più lento è il tasso di crescita maggiore è l’eccedenza richiesta. A tal proposito hanno scoperto che l’eccedenza primaria media richiesta per il decennio 2020-2030 è del 5,6% per l’Irlanda, 6,6% per l’Italia, 5,9% per il Portogallo, 4,0% per la Spagna e 7,2% per la Grecia.

È plausibile che l’Italia possa ottenere un’eccedenza primaria media del 6,6% del PIL per oltre dieci anni? Difficile, tanto più perché questo implica che, ogni anno, in media, il governo dovrebbe tirare fuori il 6,6% del PIL dalla domanda interna, tramite tassazioni. Eppure, come ho detto e ripetuto, il punto debole dell’economia italiana è proprio la domanda interna (anni e anni di stagnazione, invecchiamento della popolazione).

 

 

 Prospettive economiche globali – Consumo a famiglia in Italia

(trimestrale, in miliardi di euro, prezzi del 2005, aggiustamento stagionale)

Fonte: Eurostat

 

Queste le conclusioni di Eichengreen e Panizza (che in http://www.voxeu.org/article/can-large-primary-surpluses-solve-europe-s-debt-problem hanno valutato la plausibilità delle proiezioni del FMI):

“Si tratta di grandi eccedenze. Ci sono ragioni sia politiche sia economiche per mettere in discussione la loro plausibilità […] La storia suggerisce che un tale andamento, anche se non del tutto sconosciuto, è eccezionale […] A conti fatti, questa analisi non ci lascia ottimisti sul fatto che i paesi europei in crisi saranno in grado di produrre eccedenze di bilancio primario tanto ampie e costanti quanto quelle delle proiezioni ufficiali”

 

La situazione italiana è in certa misura replicata in altri paesi periferici (il rapporto tra debito sovrano e PIL si colloca in Irlanda al 124%, in Portogallo al 132,9%, in Spagna al 96,8% e in Grecia al 174,1% – tutti dati riferiti al marzo 2014), dal momento che quasi tutte le previsioni ufficiali prevedono un’imminente inversione di rotta nella dinamica del debito. È impossibile che la stagnazione persistente e la bassissima inflazione bassissima invertano la propria tendenza: i leader europei dovranno decidere cosa fare al riguardo.

 

Ora sembra certo che il debito in Italia debba salire al 140% del PIL e oltre (e forse raggiungere quel livello già entro il primo trimestre 2015), il che significa che qualche esperto operante nel settore dovrebbe essere in grado di ammettere che non è un percorso sostenibile. Le cosiddette revisioni qualitative patrimoniali (AQR, Assett Quality Reviews del comparto bancario) probabilmente non riserveranno grandi sorprese, ma non sarebbe il caso di provvedere almeno a realistiche analisi di sostenibilità del debito (DSA, Debt Sustainability Analyses)?

Casi come la Grecia e il Portogallo sono in qualche misura contenibili dal punto di vista dell’UE, in quanto economie relativamente piccole da far sì che i leader europei si impegnino in qualche sorta di proroga tramite l’emissione di poche cedole a lunga scadenza. Ma in Italia il debito è semplicemente troppo grande per poterlo gestire così.

Chi occupa i posti di comando nell’UE e nella BCE si trova, perciò, di fronte a un dilemma. Cercare di portare l’Italia a ottemperare ai propri obblighi di disavanzo e debito nei confronti dell’UE potrebbe far scendere il debito ma, con ogni probabilità, il livello del debito salirà (dato il debole effetto nominale del PIL). Non ottemperare a tali obblighi apre la possibilità di stimolare leggermente la crescita (e forse aumentare altrettanto leggermente l’inflazione), ma è ovvio che il livello del debito salirebbe. Una sorta di vicolo cieco in cui qualsiasi azione si intraprenda il peso del debito aumenta.

Dal punto di vista della classe dirigente politica italiana, però, è ovvio che l’austerità oggi ha dei costi (e pochi benefici visibili), mentre spendere nel deficit può portare qualche beneficio a breve termine al prezzo di emissioni di debito a più lungo termine. Non stupiamoci allora se la scelta sta andando in questa direzione, tanto più che i leader politici del Giappone hanno ricevuto grande plauso per avere fatto qualcosa di simile.

Naturalmente, poiché non si sono ampiamente capite le difficoltà che l’insorgere di una lunghissima stagnazione porterà nei paesi fortemente indebitati e colpiti da invecchiamento della popolazione e contrazione della forza lavoro, nemmeno i richiami a contenere la crescita del debito sono stati ben accolti ovunque. In primavera il “Financial Times” ha pubblicato i dettagli di un documento, rilasciato congiuntamente dai ministeri delle finanze di Germania e Finlandia, in cui si rimprovera aspramente Bruxelles per avere alleviato i criteri dell’austerità, citando in particolare l’ulteriore flessibilità concessa a Francia e Spagna per aver ridotto i rispettivi bilanci entro i limiti di deficit previsti dall’UE.

 

“Dal 2012, la Commissione ha cambiato sostanzialmente il modo in cui valutare se uno Stato membro ha intrapreso una ‘azione efficace’ per rispettare le regole di bilancio [dell’UE]”, afferma il documento. “I recenti cambiamenti metodologici implicano il rischio di annacquare le [norme] recentemente rafforzate in fase di attuazione”.

 

Com’era prevedibile, Matteo Renzi non ha perso tempo e si è fatto avanti per chiedere un trattamento simile per il suo Paese (cfr. il “Financial Times” del 17 Aprile, in http://www.ft.com/intl/cms/s/0/9472a5da-c659-11e3-ba0e-00144feabdc0.html#axzz3ELiDDfHu). Secondo il giornale il Ministro delle Finanze italiano Pier Carlo Padoan il 16 aprile avrebbe inviato formale richiesta scritta alla Commissione, richiedendo l’autorizzazione a un cambiamento di obiettivi. Appellandosi alla “grave recessione” affrontata nel 2012 e 2013, Padoan ha scritto che l’Italia vuole “deviare temporaneamente dagli obiettivi di bilancio” e che, a causa di “circostanze eccezionali” (il grassetto è mio) il governo avrebbe deciso di accelerare il pagamento dei 13 miliardi di euro arretrati dovuti dal settore pubblico a quello privato, il che nel 2014 accrescerebbe il debito in rapporto al PIL. Il problema è che, nel caso dell’Italia, questi “fattori temporanei” e “condizioni eccezionali” sembrano nascere con prevedibile regolarità. La nazione attualmente punta a rimandare l’equilibrio di bilancio strutturale al 2016, e non al 2015 come concordato dal governo tecnico di Mario Monti nel 2012. Un anno prima, l’allora primo ministro Silvio Berlusconi aveva promesso un pareggio di bilancio strutturale entro il 2013.

 

Entra in scena Mario Draghi

 

Il rapporto tra Mario Draghi e Matteo Renzi è stato a lungo fonte di ipotesi e pettegolezzi. A febbraio, poco dopo aver assunto il suo incarico in seguito ad una sorta di rivoluzione di palazzo nel suo stesso partito, in seguito alla quale il Presidente del consiglio in carica Enrico Letta venne defenestrato senza tanti complimenti, il corrispondente del “Financial Times” a Bruxelles pubblicò un post su un blog del proprio giornale dal titolo piuttosto diretto: Does Renzi owe his job to Draghi? (Renzi deve il suo posto a Draghi? In http://blogs.ft.com/the-world/2014/02/does-renzi-owe-his-job-to-draghi/?Authorised=false)

L’articolo voleva tentare di stabilire qualche forma di connessione tra l’assunzione dell’incarico da parte di Matteo Renzi e l’esito della allora recente sentenza della Corte Costituzionale tedesca che metteva in discussione la sostenibilità del programma Outright Monetary Transactions (OMT, operazioni monetarie definitive) della banca centrale. L’ipotesi dell’autore era che la forza trainante di una sorta di “santa alleanza” tra i due risiedesse nell’interesse di Draghi a ottenere le dimissioni di Letta da capo del governo, prima che le pressioni provenienti dalla Germania sul mantenimento di un’offerta del programma OMT (offerta ora legalmente discutibile) a un’Italia che stava sì visibilmente godendo dei rendimenti di titoli meno costosi ma che palesemente non stava portando avanti il proprio programma di riforme diventassero troppo forti per resistervi.

 

C’è qualcosa in comune tra la dura critica che la Corte Costituzionale tedesca ha mosso – senza alcun risultato – al programma di acquisto obbligazioni della BCE per contrastare la crisi e lo sgambetto di Matteo Renzi al presidente del consiglio italiano Enrico Letta? Secondo molti osservatori critici nei confronti della BCE, in particolare a Berlino, le due cose non sono solo legate, ma l’una potrebbe essere causa dell’altra.”

“Secondo molti critici tedeschi, sia negli ultimi mesi della presidenza Monti sia durante quella, forzatamente breve, di Letta, da quando il capo della BCE Mario Draghi annunciò che avrebbe fatto “qualsiasi cosa” per salvare l’euro a luglio 2012, il governo italiano non si è seriamente impegnato a intraprendere importanti riforme economiche.”

 

L’elemento chiave della situazione è che la sentenza della Corte Costituzionale tedesca aveva effettivamente lasciato l’OMT – peraltro esistito solo virtualmente e considerato sempre un vuoto bluff, perché era chiaro che nessuno aveva intenzione di accettarne l’aspetto condizionante – più morto di un cadavere all’obitorio. L’obiezione di Karlsruhe al programma di acquisto di bond esistente era che questo andasse oltre il mandato della BCE, perché Maastricht proibisce il finanziamento diretto del debito pubblico e l’obiettivo dell’ OMT era aiutare le finanze statali a un prezzo accessibile. Poichè il rischio di break-up – che avrebbe potuto offrire una giustificazione alternativa per l’OMT – per il momento è fuori questione, all’OMT mancava una giustificazione giuridica definitiva: in altre parole, il re era visibilmente nudo. Era solo questione di tempo, quello necessario ai mercati per svegliarsi.

Insomma, era indispensabile trovare qualche altra motivazione per avviare un programma di acquisto obbligazioni, sempre che ce ne fosse bisogno. Poi è arrivata la deflazione. Il punto nodale è che se un programma di acquisto obbligazioni è implementato come una forma di QE sarà diverso dal precedente programma OMT in termini di giustificazione offerta. Qualsiasi programma QE introdotto per combattere la deflazione sarebbe implementato come parte di un tentativo di raggiungere la stabilità dei prezzi, obiettivo già interno al mandato della banca centrale. Un’altra differenza fondamentale è che, se si lancia un QE che implica l’acquisto di obbligazioni, la banca en acquisterà da TUTTI i paesi dell’unione monetaria (in base al loro peso in PIL dell’area euro), il che ci porta alla terza differenza dall’OMT: non vi sarà allegata alcuna condizionalità. Ciò detto tutta l’operazione era diventata “ad alto rischio”, ed era chiaro che Mario Draghi, se voleva tenere a bordo i tedeschi con il QE, aveva bisogno di qualcun altro alla guida dell’Italia, qualcuno che li potesse convincere che il Paese avrebbe attuato le riforme necessarie. Entra in scena Matteo Renzi.

Avanti veloce: è agosto e troviamo che l’ex sindaco di Firenze – balzato in sella grazie alla promessa di riforme aggressive nel mercato del lavoro, lunga serie di tagli a spese e imposte e significative privatizzazioni – era stato fortissimo a parole ma molto debole nei fatti. Cosa non rara in Italia, ma le persone si aspettavano di più. Stavolta, credevano, sarebbe andata diversamente.

L’irritazione di Mario Draghi per la situazione è stata visibile alla conferenza stampa della BCE, in agosto. Alla domanda di un giornalista sul perché l’Italia fosse ricaduta in recessione è riuscito a contenersi a stento e con insolita franchezza ha risposto che la mancanza di riforme strutturali stava frenando il paese e intralciando il ritorno alla crescita. Il riferimento a Renzi era evidente.

Dopo una settimana i due si sono visti in quel che avevano sperato fosse un incontro segreto ma, essendo l’Italia quella che è, la stampa era presente. Su quel che si sono detti non è trapelato alcun dettaglio ma è comunque chiaro che Draghi ha colto l’opportunità per dissotterrare apertamente l’ascia di guerra. In Italia si è parlato molto di qualche intervento della Troika ma la cosa risulta improbabile e, in un’intervista al “Financial Times”, Renzi ha detto chiaramente che non sarà lui a richiederne uno.

Richiesto del perché in Italia le riforme vadano così a rilento, ha rifiutato l’idea di Draghi che l’UE debba intervenire in paesi in cui le riforme non vengono portate avanti abbastanza in fretta. “Sono d’accordo con Draghi quando sostiene che l’Italia ha bisogno di riforme; ma su come le faremo decido io, non la Troika, nè la BCE nè la Commissione Europea”, ha detto. “Io farò personalmente le riforme perché l’Italia non ha bisogno di nessun altro che le spieghi cosa fare”.

Il problema è che, date le dinamiche di debito già accennate, l’unica cosa che all’Italia manca a questo punto è il tempo. Il problema non è l’impatto del cosiddetto “effetto valanga”, poiché i pagamenti del tasso d’interesse fanno salire i livelli di debito in maniera vertiginosa: è peggio. Mario Draghi può, in teoria, contenere il problema dell’interesse di debito, e nel caso questo dovrà andare di pari passo alla tabella di marcia dei rimborsi di capitale. Ma il problema che l’Italia ha al momento riguarda la credibilità del suo debito, la capacità di sostenere in modo persuasivo che la sua traiettoria è sostenibile, il riuscire a convincere la Germania che, se la BCE comprasse le obbligazioni le si potrebbe SEMPRE riscattare.

Renzi ha affermato con nonchalance di voler trasformare l’Italia, incoraggiato dai risultati delle elezioni al Parlamento europeo, però sembra più preoccupato di far passare la riforma elettorale (ovviamente necessaria ma forse non così impellente come i problemi di crescita e debito), lasciandoci con il sospetto di essere più interessato a farsi rieleggere che a tutto il resto. In effetti il fatto che, per far passare in fretta la riforma elettorale (vd. Italy Slips Back Into Recession, As New PM seeks Berlusconi’s Help in http://www.newsweek.com/italy-slips-back-recession-new-pm-seeks-berlusconis-help-263267), Renzi abbia bisogno del sostegno dello screditato ex capo del governo Silvio Berlusconi ha portato i critici dei due “partiti istituzionali” a supporre che la riforma sia orientata più a far fuori i nuovi arrivati come il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo che ad altro (vd. Renzi slammed for ‘coup’ over senate changes in http://www.thelocal.it/20140725/government-lays-bear-trap-for-senate-reform).

Attualmente il governo Renzi (che per quanto riguarda le questioni economiche sta operando quasi oltre i tempi storici reali) ha fatto pochi progressi sulle riforme che potrebbero aiutare la nazione a ripartire verso una qualche crescita, come quelle del sistema giudiziario e del mercato del lavoro. L’unica misura che può essere considerata vagamente “a favore della crescita” promulgata dal suo governo riguarda il bonus di 80 Euro per i lavoratori a basso reddito, che comunque non ha dato all’economia lo slancio che i suoi fautori sbandieravano.

La misura appare più di facciata – paragonabile al ridicolo “Plan E” di José Luis Zapatero in Spagna – e rafforza l’iimpressione di politici che si gingillano mentre Roma brucia. La Confcommercio, lobby del settore, fortemente critica nei confronti di tale misura, ha calcolato che a giugno, primo mese in cui lo sgravio fiscale è stato operativo, il consumo è aumentato dello 0,1% e, in una conferenza stampa, ha detto che le famiglie italiane hanno evitato di fare acquisti “perché la loro incertezza sul futuro era più forte del reale aumento di denaro nelle loro tasche”.

Ciò nonostante Renzi continua a insistere che la strategia economica del suo governo è solida e risolleverà il paese dalla crisi. In una lunga intervista trasmessa su La7 (http://www.la7.it/speciali-mentana/rivedila7/bersaglio-mobile-enrico-mentana-intervista-matteo-renzi-29-03-2014-129187) seguita all’annuncio dei risultati sul PIL, Renzi ha affermato che il suo governo è determinato a rimettere in moto l’economia, ma a tempo debito. “Lavoreremo di più e meglio, ma io ho promesso che cambieremo direzione, non che cambieremo l’universo in tre mesi”, ha detto, aggiungendo anche che soltanto un “supereroe dei fumetti” può rovesciare le sorti dell’economia in pochi mesi. “Con calma e serenità oggi prendiamo per mano questo paese e lo tiriamo fuori dalla crisi” ha detto agli spettatori.

Il problema degli osservatori esterni non è vedere la completa inversione di rotta (che implica un lungo e sofferto cammino, e qui Renzi ha ragione), bensì individuare i primi, timidi passi compiuti.

Che Renzi stia tenendo strettamente in pugno le finanze d’Italia è una paura nuovamente alimentata la scorsa settimana, quando Carlo Cottarelli, commissario per la spending review, ha sottolineato le tensioni esistenti nel governo sui piani di spesa del Presidente del consiglio. In un post sul suo blog Cottarelli, nominato da Letta e già direttore del Dipartimento per gli affari fiscali del FMI, ha detto che i precedenti risparmi erano già stati utilizzati dal parlamento per altre spese; ciò significa che a lungo termine non possono essere usati per ridurre le imposte sull’occupazione (fine per cui erano stati pensati).

Ai critici, come sempre, Renzi risponde che tutti i punti di vista sono validi ma che 11 milioni di italiani la pensano diversamente, riferimento chiaro a quello che percepisce come il suo sostegno elettorale. Sostegno che, alla fine, tramonterà, se non si vedranno progressi nell’economia. Il “Financial Times” cita Wolfango Piccoli, analista del think-tank romano Teneo, a proposito del seguente effetto: “Dato che il Presidente del consiglio Matteo Renzi fatica a fare progressi nelle riforme politiche, diventa sempre più chiaro che al suo governo manca un piano originale e coerente per l’economia”.

A peggiorare le cose, ulteriori ritardi burocratici comportano che quest’anno il Ministero del Tesoro non raggiungerà il suo obiettivo: raccogliere 12 miliardi di Euro dalle privatizzazioni. Altre preoccupazioni riguardano il risultato degli stress test della BCE e della sua asset quality review, o revisione della qualità degli attivi, sulle principali banche italiane. I banchieri fanno notare che se una banca italiana avesse bisogno di un salvataggio le casse dello stato non sarebbero in grado di sostenerla facilmente. Ecco, ovviamente, un potente strumento che Draghi può usare per far pressione su Renzi.

Un altro tema è la riforma del mercato del lavoro. Il controverso articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è “soltanto un simbolo” e “dibatterne è un esercizio inutile”, ha detto Renzi la scorsa settimana a Rai3. I commenti sono seguiti alla richiesta di abolirlo avanzata dal Ministro Angelino Alfano, del Nuovo Centro Destra. L’articolo 18 dello statuto dei lavoratori del 1970 proibisce per legge il licenziamento senza giusta dei lavoratori di aziende con oltre 15 dipendenti.

La riluttanza del Presidente del consiglio ad affrontare il tema del mercato del lavoro è comprensibile. Ogni tentativo di cambiare davvero la legge italiana sul lavoro sarebbe molto impopolare per la sinistra (e anche per molti nel suo stesso partito) e, se il suo obiettivo è quello di andare alle urne dopo aver fatto passare la nuova legge elettorale, andare allo scontro diretto con i sindacati gli costerebbe sicuramente parecchi voti. Ci si continua a gingillare mentre Roma brucia.

 

Allora quale strada prenderà la BCE?

 

Ovviamente i membri della commissione Europea, del consiglio direttivo della BCE e i politici di più lungo corso a Berlino, Amsterdam o Parigi non sono né dei teorici né tanto meno degli intellettuali. Le ipotesi sulla stagnazione a questo punto sembrano più strategie di ricerca teorica che modelli applicabili di politiche attuative e i politici sono comprensibilmente riluttanti a prendere decisioni in base a quanto è ancora poco più di un’ipotesi.

Coen Teulings e Richard Baldwin, curatori di Secular Stagnation: Facts, Causes and Cures (eBook sull’argomento scaricabile liberamente, in inglese, da http://www.voxeu.org/content/secular-stagnation-facts-causes-and-cures), scrivono nell’introduzione che “La stagnazione successiva alla Grande Depressione si è dimostrata illusoria. Potrebbe avvenire lo stesso dopo la Grande Recessione – è troppo presto per dirlo. Ma l’incertezza non è una scusa per l’immobilismo: quasi tutte le azioni, comunque, sono politiche anti-rimorso.” Teulings e Baldwin suggeriscono che i rischi, in questo caso, sono ben lungi dall’essere calcolati. Se paesi come il Giappone, l’Italia e il Portogallo stanno soffrendo le forme locali di una stessa patologia, è improbabile che le soluzioni normali possano funzionare e i problemi potrebbero peggiorare velocemente.

Naturally the ECB can go down the Abenomics path, and institute large scale sovereign bond purchases even while the Commission turns an increasingly blind eye to higher deficit spending at the country level. But it is far from clear that Abenomics works (see here) and if it doesn’t what happens to all the accumulated debt?

Naturalmente la BCE può scegliere di seguire il percorso Abenomics e promuovere ingenti acquisti di titoli di stato, nonostante la Commissione continui a chiudere un occhio – e forse due – sul sempre più alto deficit di spesa a livello statale. Ma non è affatto chiaro che l’Abenomics funzioni (vedi http://edwardhughtoo.blogspot.com.es/2014/08/abenomics-what-could-possibly-go-wrong.html ) e, se così fosse, cosa succederebbe a tutto il debito accumulato?

  

Base monetaria giapponese e livello dei prezzi

(CPI – indice dei prezzi al consumo)

CPI (ottobre 1993 = 100) – Base monetaria (ottobre 1993 = 100)

Fine del 2014 (270 bilioni di yen)

Fine del 2014 (102, dato proiettato calcolando l’inflazione al 2%)

Fonti: BOJ (Banca del Giappone),

Ministero giapponese per gli affari interni e le comunicazioni e Haver Analytics

 

D’altra parte il tempo è denaro. Lasciare andare le cose sempre più alla deriva significa permettere che il livello del debito cresca, rischiando di mettere alla prova la pazienza del mercato; questo è particolarmente importante nei casi di Italia e Portogallo. Più tempo passa più è difficile per chiunque convincersi che il debito di queste nazioni sia sostenibile.

Si potrebbe addirittura arrivare ad un punto oltre il quale i tedeschi non permetteranno più a Draghi di acquistare titoli di stato italiani senza un preventivo taglio del loro valore. È vero, hanno detto che non faranno ulteriori interventi nel settore pubblico, ma hanno detto un sacco di cose, e il rischio di irritare gli investitori è limitato quando hai un surplus nei conti correnti regionali e una banca centrale che compra titoli di stato.

Forse i costi del fallimento del mercato europeo saranno a carico di tutti quegli avidi acquirenti di titoli di stato convinti che nulla sarebbe potuto andare storto. Sono certo che i politici tedeschi potrebbero ritenere che una perdita di credibilità sulla propria capacità di fare pressing sarebbe meno onerosa, per loro, che mettere i contribuenti tedeschi nella posizione di difficoltà derivante dai livelli attuali del debito italiano, tanto più in un paese dove in questo momento si annuncia con orgoglio che il debito statale, per la prima volta in oltre cinquant’anni, è sceso. Sarebbe come chiedere agli agnelli di votare a favore del pranzo di Pasqua.

Nonostante l’incontro tra Draghi e Renzi (che potrebbe diventare un agnello a Pasqua anticipata), in Italia non sta succedendo alcunché di sostanziale. Il governo non è messo sotto pressione per fargli chiedere aiuto (né pensa di averne bisogno) e Draghi non agirà prima che le cose cambino. Stallo totale – e debito crescente.

Naturally in the short term the “Mario Draghi ultimately has my back” feeling will still prevail, but with markets continuing to finance debt levels that any official study will soon have to recognize as unsustainable lack of proactive policies from the ECB will only fuel concerns that the size of the pill may become just too big for the bank to persuade Germany comfortably swallow, leaving the specter of private sector involvement to once more rear its ugly head. How do you tell people who have just sacrificed hard to get their debt under control that they are now about to help “pardon” 50% of someone else’s. It simply doesn’t make sense.

Naturalmente a breve termine la sensazione che “Mario Draghi ci sta in buona misura guardando le spalle” continuerà a prevalere: ma con i mercati che continuano a finanziare i livelli di debito, cosa che qualunque studio ufficiale riconoscerà come un’insostenibile assenza di politiche attive da parte della BCE, continuerà anche a crescere la preoccupazione che le dimensioni della pillola stiano diventando semplicemente troppo grandi perché la banca riesca a persuadere i tedeschi a ingoiarla come nulla fosse, lasciando così che lo spettro di un coinvolgimento del settore privato possa tornare ad alzare la sua testa spaventosa. Come si può pensare di dire a persone che hanno fatto enormi sacrifici per riportare il loro debito sotto controllo che stanno per aiutare ad “assolvere” il 50% di qualcun altro? Semplicemente impossibile.

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Edward Hugh

Edward Hugh, definito dal “The New York Time” come “il profeta del futuro dell’euro-zona” è un economista di Liverpool laureato alla London School of Economics. Attualmente vive in Spagna.

 

Traduzione di Ilaria Bornaccini, Lucia Lazzarini, Claudia Pavoletti e Michela Pertici e revisione di Fiamma Lolli per Buenos dias Leghorn – staff di traduzioni di Buongiorno Livornolicenza CC BY-NC-ND 4.0

 

1 http://www.forexwiki.it/Quantitative-Easing

2 L’eccedenza primaria del bilancio statale è la differenza fra spesa pubblica e entrate tributarie e extra-tributarie, esclusi gli interessi da pagare sul debito. In altre parole è la somma disponibile per pagare gli interessi sul debito pubblico (BOT, CCT, ecc.) e ridurre eventualmente questo debito.