Il comitato portuale dello scorso 8 ottobre ha discusso su un tema che in realtà era già stato deciso e programmato più di 10 anni fa.
La destinazione del comparto bacini del Porto di Livorno è stata stabilita infatti dopo la dismissione del Cantiere Luigi Orlando, quando si scelse di trasformare l’area del cantiere nella Porta a Mare, da area produttiva ed occupazionale ad area di speculazione edilizia da un lato (un agglomerato di case e fondi commerciali che dopo la loro costruzione non daranno lavoro a nessuno, salvo una bella rendita a chi le ha realizzate) e di cantieristica di lusso dall’altra. Un’operazione mal gestita (forse volontariamente) dall’amministrazione cittadina che non ha portato quei risvolti economici e sociali che tanto furono sbandierati.
Non c’è stato alcun investimento sulla riconversione occupazionale e sulla cultura di una nuova professionalità nella cantieristica da diporto ultra specializzata, non c’è stato alcun controllo sulla trasformazione urbanistica dell’area che andava sottraendo spazi vitali per lo sfruttamento degli adiacenti bacini e che da un punto di vista ambientale ne comprometteva la coesistenza con le aree produttive, non c’è stata una visione complessiva per il bene e il futuro di un comparto economico che potenzialmente aveva ed avrebbe potuto essere ancora oggi una fonte di reddito per migliaia di livornesi e si è lasciato andare in malora un complesso straordinario di bacini , soprattutto il bacino in muratura – uno dei più grandi del Mediterraneo – che in molti ci invidiano anche fuori dai confini nazionali per la capacità di accogliere navi fino a 300 mila tonnellate di portata lorda.
La vicenda del comparto delle riparazioni navali si inserisce in questo quadro scellerato.
Il grande bacino in muratura del porto livornese fu inaugurato nel 1975 dal Cantiere Navale Orlando che lo avrebbe poi avuto in concessione dal demanio fino al 2002, anno in cui cessò la propria attività. Nel 2003 Azimut Benetti acquisì la proprietà dell´area cantieristica, dove avviò una nuova attività di costruzione di mega yachts, ed ebbe in concessione l´area demaniale comprendente il grande bacino, continuando qui l´attività di riparazione navale per interromperla definitivamente nell´anno 2007 in quanto non facente parte del proprio core business.
Nell’estate del 2008 l’Autorità Giudiziaria valutò lo stato di deterioramento delle strutture del bacino, a causa della pressoché totale assenza di interventi manutentivi atti alla conservazione del bene negli anni di gestione Azimut. Mentre l’atto di concessione prescriveva ad Azimut di “…provvedere a propria cura e spese alla manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni, al fine della loro conservazione nello stato in cui furono consegnati…” ed inoltre disponeva che “…tutte le strutture dedicate alle riparazioni navali, ivi compresi i bacini di carenaggio, fossero disponibili anche da parte delle imprese di riparazione e costruzione navale non in concessione…”.
Ma non solo il bacino in muratura oggi risulta completamente inutilizzabile, anche il bacino piccolo è stato tagliato fuori dal mercato delle riparazioni, a causa del prolungamento del molo Elba (per la nuova perimetrazione del futuro porto turistico) che non permetterà più il passaggio dal Porto Mediceo alla Darsena Nuova.
Altrove le riparazioni navali sono riconosciute come valore aggiunto ed elemento di attrattività per gli scali marittimi, ma a Livorno si è scelto diversamente.
Va tenuto presente inotre che, nonostante la potenzialità del bacino in muratura, in una perizia da parte del RINA, tra le altre cose, sinteticamente si stabiliva che l’uso del bacino avrebbe dovuto essere esclusivo per manutenzioni di navi di dimensione medio-piccole.
Con questi presupposti si è dato il via al lunghissimo iter amministrativo del nuovo Piano Regolatore Portuale sul quale pare che non sia più possibile intervenire oggi, poichè rimetterne in discussione alcune parti rilevanti porterebbero ad un inevitabile ulteriore ritardo del processo autorizzativo, cosa che il porto di Livorno forse non si può permettere.
Il destino del comparto bacino e delle riparazioni navali sembra ormai chiaro.
Ciò nonostante il consiglio comunale ha tentato di riaprire la partita in seno al comitato portuale chiedendo che nella tanto annunciata gara di affidamento definitivo del comparto bacini si potesse estenderne l’utilizzo anche alle riparazioni di navi di grandi dimensioni, poichè come è ben noto il mercato navale commerciale e passeggeri ha esteso ernormemente le dimensioni delle proprie flotte.
Il no del comitato portuale a questa richiesta è stato categorico.
Si apprende però che nell’ultimo tra i punti indicati, attorno ai quali ruoteranno le valutazioni della stazione appaltante sui piani industriali che perverranno al bando, è stabilito che “le attività industriali svolte nel bene assentito in concessione non dovranno pregiudicare la futura riconversione del bacino in muratura alle attività di riparazione anche delle navi di grande dimensione”.
Così come è successo per la vicenda della porto 2000 sembra che i giochi siano già stati fatti e che non si possa, forse, poter invertire la tendenza suicida del nostro territorio ormai depauperato sempre di più da ogni possibile nuovo mercato.
Senza voler in questa sede dare colpe o puntare il dito contro qualcuno possiamo però porre delle domande legittime per tentare un’ analisi di quanto sta avvenendo.
In primo luogo: perché si permesso alla società Azimut di non effettuare le necessarie manutenzioni che oggi costeranno milioni di euro a chi vincerà il bando di gara? Non dimentichiamo che il bacino è un bene pubblico, su cui sono state spese già nel passato enormi risorse che a causa dell’incuria del concessionario e della manzanza di controlli sono state vanificate. Perchè non si discute anche di questo nel comitato portuale?
Il mercato delle riparazioni delle sole navi di piccole e medie dimensioni sarà sufficiente a bilanciare l’investimento economico per società pulite e veramente interessate a questo tipo di mercato? E quel contraddittorio quarto punto tra i criteri di valutazione non sarà uno specchietto per le allodole per chi sarà costretto ad investire oggi per poi non poter mai allargare il proprio mercato domani?
Se è vero che la moderna tecnologia delle riparazioni navali oggi non effettua più le sabbiature, pietra dello scandalo, ma utilizza tecniche che possono essere del tutto compatibili con la cantieristica dei grandi yacht, perchè si ostacola la discussione anche tramite una strumentalizzazione delle maestranze dei cantieri Benetti?
Ed infine, sarà garantito nel bando che le strutture dedicate alle riparazioni navali, ivi compresi i bacini di carenaggio, restino disponibili anche da parte delle imprese di riparazione e costruzione navale non in concessione così come è sempre stato e come dovrebbe essere ogni bene pubblico?
Gruppo Porto e Direttivo – Buongiorno Livorno