ENI: l’intervento del nostro Gruppo Consiliare


Ecco il testo che ha fatto da traccia all’intervento che abbiamo tenuto durante il Consiglio Comunale congiunto Livorno – Collesalvetti per discutere le questioni relative all’ ENI.

Il nostro territorio oggi è gravemente minacciato. La sua tenuta sociale già precaria rischia il collasso. In una situazione di questo tipo- di sostanziale attacco alla democrazia- la priorità è la ricerca di una linea comune da far valere in una contesa impari, che rivela tutta l’iniquità di un assetto economico e politico internazionale, dove le istituzioni pubbliche rappresentano la parte debole, con compiti e funzioni residuali rispetto a interessi privati che sono i veri arbitri delle sorti di intere comunità. Una frase di questo tipo, che fino a qualche giorno fa poteva ancora sembrare passatista e nostalgica, oggi sta davanti ai nostri occhi in tutta la sua innegabile attualità. E tante sono le parole di una politica dichiarata vecchia anzitempo che tornano a calzare a pennello a quello che stiamo vivendo e provando a fronteggiare in questi giorni.

La nostra richiesta, nello specifico dell’ENI, è quella del mantenimento del sito industriale e dei livelli occupazionali attuali attraverso l’elaborazione di un piano industriale serio e rivolto al futuro. Che una società a partecipazione statale agisca contro l’interesse dei cittadini e delle cittadine che quello Stato è chiamato a difendere è politicamente allarmante e inaccettabile.

Ma la questione dell’ENI non può e non deve essere isolata. Per limitarci alla recente attualità (e quindi lasciando da parte vertenze come quella dei lavoratori ex Delphi e Trelleborg, che pure torneranno a far parlare di sé tra qualche mese) va messa insieme alla questione MTM, alla questione People Care (che a maggio 2015 tornerà al pettine), alla situazione dei lavoratori e delle lavoratrici di Cooplat e a tutti gli atipici impiegati nelle partecipati e nei servizi pubblici. Va messa infine insieme alla questione TRW, piovuta sulla testa di una città in ginocchio in questi ultimi giorni.

Deve essere inserita in un contesto più generale:

1. Quello di un modo di produzione che è concessivo verso certe garanzie nelle sue fasi espansive ma che, lasciato libero di agire, in quelle critiche torna ad aggredire i diritti sociali e individuali con arroganza e irresponsabilità assolute.

2.Quello di un territorio- la fascia costiera- in cui è completamente mancata negli anni una capacità di progettazione e programmazione economica, e che la Regione e lo Stato hanno cancellato dai loro piani.

In un regime di diffusa deterritorializzazione della produzione in cui la grande proprietà multinazionale è padrona del mercato capita sempre più spesso che la vita dei lavoratori e delle lavoratrici dipenda da logiche che sfuggono completamente al controllo loro e, spesso, a quello delle istituzioni che dovrebbero tutelarli. Non conta quanto bravo sei, quanto seriamente lavori, quando ti impegni e ti sacrifichi. Il patto tra impresa e lavoro costruito in anni di lotte politiche e sindacali è stato tradito. Tutto si decide altrove. Troppo in alto perché l’occhio nudo arrivi a vedere.

In una situazione come questa cosa si è fatto nel nostro paese? Si è deciso di rendere competitivo il territorio nazionale non investendo in formazione e innovazione o attraverso azioni sulla leva fiscale, come sarebbe stato logico, ma affrontando i nuovi mercati sul ribasso dei costi del lavoro: cioè scaricando sul valore del lavoro la competizione. In questa direzione di deregolamentazione del mercato del lavoro vanno i provvedimenti dell’ex Ministra Fornero e quelli del Governo Renzi. Oggi il lavoratore è un mezzo di produzione come altri, una merce e, per di più, la merce più a buon mercato, giacché con gli attuali livelli di disoccupazione la domanda supera in modo vertiginoso l’offerta.

La domanda di fronte a uno scenario di questo tipo ritorna: Che fare? Oltre mettere da parte le appartenenze, le diversità di vedute per quanto marcate e le reciproche diffidenze per cercare una linea comune e un’intesa ai vari livelli per esercitare una pressione sulla grande proprietà multinazionale, cosa possiamo fare? Credo che la sfida a cui siamo chiamati sia innanzitutto quella di mettere alla prova la nostra capacità di mobilitazione politica e culturale, perché innanzitutto sia chiaro che il dramma dei lavoratori dell’ENI o della TRW o dell’MTM non è solo qualcosa a cui guardare con dispiacere e sacrosanta solidarietà, cioè il problema di qualcun altro. No: è il problema di una comunità. Se non riusciamo in questo, a risvegliare e organizzare un’opposizione culturale e sociale alla logica dell’Ognuno-per-sé-e-il-Mercato-per-tutti, ci troveremo come il protagonista di quella poesia di Brecht, che assiste passivo alla deportazione degli Altri per accorgersi quando arriva il suo turno che non è rimasto più nessuno a cui chieder aiuto. Deve essere un territorio intero che si mobilità: per solidarietà e per autodifesa. Soprattutto per autodifesa. Questo possiamo fare, con il duplice obiettivo di impedire adesso la perdita anche di un solo altro posto di lavoro in una zona dove l’occupazione è già decimata e, una volta affrontata e gestita l’emergenza, metterci a lavorare con lo sguardo al futuro, elaborando un progetto economico ed energetico per il nostro territorio che coniughi buoni livelli occupazionali con la tutela della salute e della sicurezza delle persone- lavoratori e lavoratrici prima di tutto- su cui le attività produttive inevitabilmente ricadono. La sfida per il futuro è quella di farsi carico del problema rappresentato da attività produttive basate sullo sfruttamento di risorse limitate, alle quali corrispondono inevitabilmente prospettive limitate, e che possono essere rilanciate solo se qualificate, pazientemente e scientificamente, secondo criteri ecologici, vale a dire consapevoli e responsabili del loro essere calati in un ecosistema e dipendenti dall’equilibrio di quell’ecosistema. Domani. Tutto questo subito, ma domani. Oggi, prima di tutto, dobbiamo fare diga per prevenire la calamità sociale che potrebbe abbattersi nel giro di ore sul nostro territorio. Oggi il motto è: nemmeno un posto di lavoro in meno. In questa ottica chiediamo ai sindacati di organizzare, per il 29 ottobre- giorno in cui è programmato il tavolo di trattativa, presso il Ministero dell’Economia, che deciderà delle sorti dei lavoratori e delle lavoratrici TRW e di tutta la città- uno SCIOPERO GENERALE che dica chiaro e tondo che Livorno a farsi massacrare dalle multinazionali non ci sta.

Le istituzioni, badate bene, non sono impolitiche. Sono al di sopra delle parti politiche, ma hanno un’identità politica precisa: definita dalla nostra Costituzione, che ne illustra i valori fondativi. Sono innanzitutto istituzioni democratiche e, per di più, di una democrazia “fondata sul lavoro”. Questa formula abusata fino allo svuotamento di senso è il tratto distintivo della nostra carta, una delle migliori del mondo. Condensa in sé una consapevolezza: quella del ruolo che il lavoro, come mezzo di autoaffermazione ed emancipazione dallo stato di bisogno materiale, ha avuto nell’affermazione della democrazia. Forte di queste tre parole “fondata-sul-lavoro” ho detto in apertura che stiamo assistendo a un attacco alla democrazia: ogni grande attacco al lavoro lo è. E di fronte a questo attacco, le istituzioni devono rispondere con forza: non in quanto di sinistra, destra o centro. In quanto democratiche.

Il Gruppo Consiliare di Buongiorno Livorno