Tanti 18 novembre per Buongiorno Livorno


Riceviamo e pubblichiamo questa lettera di Nique la police, scritta in occasione dell’anniversario dell’evento del 18 novembre 2013 al Kino-Dessé. E’ un contributo personale esterno e come tale va letto. Un ricordo affettuoso di un progetto che tanta attenzione, partecipazione ed entusiasmo sta ancora alimentando.

 


 

Ricordo volentieri la serata del 18 novembre 2013 e come l’abbiamo preparata. Forse qualcuno non ci crederà ma le riunioni, quelle sulla logistica e sulla tempistica della serata, sono state fatte alla stazione centrale. Usata come snodo tra un vai-e-vieni del sottoscritto e, devo dire, usufruendo di molta pazienza e adattabilità da parte degli altri. Dovevamo creare un evento, deciso precedentemente come urgente, che non fosse tanto spettacolo ma che servisse piuttosto a generare discussione. E proprio perchè la democrazia non vive tanto di regole, che spesso la affermano ufficialmente per poterla negare di fatto, ma di umani socievoli e innovativi, è un bene che il 18 novembre sia stato preparato in questa forma. Diciamolo, con un paio di parole che ricordano l’antichissimo Frank Zappa: forma garage.

Da troppi anni la discussione su Livorno era schematica, scarnificata e pietrificata, per la combinazione degli effetti radioattivi emanati dal triste edificio della Chernobyl di viale Alfieri e delle turbine della Fukushima del centrosinistra e della sinistra reali. Ci voleva qualcosa che rompesse l’incanto e ci siamo riusciti. Grazie alla partecipazione di tutti. Il campo di forza evocato con decisione in quella serata, l’urgenza di sostenere un qualcosa che arginasse il disastro PD, ha funzionato. Infatti oggi, fortunatamente per la città, il PD non governa più Livorno. E, se Livorno saprà uscire dalla minorità, almeno la nostra città l’orrore PD, che oggi si riproduce nel misticismo renziano di un tipo di capitalismo già fallito da anni, lo si potrà felicemente eliminare dal proprio orizzonte futuro.

Non entro nelle formule legate alle esigenze di schieramento. Ma senza il 18 novembre il Pd sarebbe ancora dove è. Quello di maggio-giugno sarebbe stato un passaggio elettorale normale, forse un po’ noioso. Con un mantenimento delle solite consegne, alla fine, piuttosto scontato. Non è questione di piantare bandierine o fare il pedante conto delle percentuali di voto del 25 maggio 2014: chiunque ha contribuito alla nascita di Buongiorno Livorno, in qualsiasi modo l’abbia fatto, ha messo la propria firma su un processo che, alla fine, ha fatto la storia cittadina. Poteva andare meglio? Nessuno cambia un declino economico-politico, assieme ad una regressione della qualità del tessuto sociale, iniziato nei primi anni ’80, in poche settimane. E non è che c’è ancora molto da fare. C’è tutto da fare. Livorno è messa come nel ’44 dopo l’arrivo degli alleati. Ci vorranno lunghi, difficili e controversi e persino drammatici, anni di ricostruzione. Non sarà facile, ci saranno ricadute rovinose verso il passato, e a volte la depressione collettiva sembrerà la vera vincitrice. Ma quando una città si mette in testa di cambiare, qualcosa di felice accade. Lo scorso anno ci focalizzammo su tesi piuttosto nette: Livorno, come tessuto economico, che aveva solo 5 anni di vita, la possibilità di recupero dei posti di lavoro persi nel quinquennio 2008-2013 collocata solo negli anni ’40. Purtroppo avevamo ragione. Lo dice la crisi della residua rete industriale livornese, lo dice una delle ultime relazioni, il Cnel: “i posti di lavoro persi con la crisi non verranno recuperati”. Lo scenario è tanto drammatico quanto completamente nuovo. Nessuna delle vecchie liturgie istituzionali lo cambierà. Ma intanto, a Livorno, si dà ragione a chi ha scelto l’urgenza di innovare a qualsiasi costo, anche al prezzo di critiche sguaiate e ridicole, come è accaduto proprio a Buongiorno Livorno tra il primo e il secondo turno elettorale. E intanto anche chi, un anno fa, inveiva dicendo che esageravano nel rappresentare la portata della crisi livornese ha contribuito a fare, della gravità di questa crisi, luogo comune.

In diversi mi hanno chiesto perché non mi sono iscritto a Buongiorno Livorno. E’ semplice: perché una politica sia efficace non tutti i ruoli devono essere ricoperti dalle divise degli eserciti regolari. Ci vuole sempre qualcuno che, come i commandos durante l’occupazione della Francia, lo si trova da qualche parte in Normandia. La politica fatta con i soli eserciti regolari è la continuazione della sconfitta con altri mezzi.

Mi hanno anche chiesto: ma chi te l’ha fatto fare? Mi hanno detto “ti sei esposto, hai preso applausi ma anche forti critiche: da sinistra per il linguaggio generalista e includente; da destra per l’approccio “estremista”, le tesi liquidatorie e stringenti”. Troppo facile rispondere che l’ho fatto per il posto dove vivo anche perché la verità è un’altra. Viene da New York e si chiama Lehman Brothers. L’ondata lunga di quel processo, che è ben lontano dall’essere terminato, rischia di travolgere Livorno. E’ stato ed è un motivo sufficiente per mettersi in gioco. Soprattutto per indicare che niente, del passato, oggi vale in un territorio completamente nuovo. Vale essere di sinistra, l’uguaglianza deve regolare la vita pubblica per garantire concreti diritti a tutti, ma come? La società è mutata, i ceti subalterni altrettanto. Le forme istituzionali pure. La geometria dei rapporti tra istituzioni, locali e centrali, è completamente cambiata e si è irrimediabilmente europeizzata. Le pratiche di governance sui territori, esclusivamente sbilanciate sui soggetti privati, hanno reso le istituzioni locali dei gusci destinati a rimanere semivuoti se non si comprendono bene le mutazioni in atto. E vogliamo parlare della costituzione? Dopo l’introduzione dell’obbligo di pareggio di bilancio nel dettato costituzionale, la carta del ’48 è come un fiume biologicamente morto. Una volta mutatone l’assetto economico, si tratta di dettato costituzionale tenuto in vita artificialmente dalla retorica piuttosto che dalle procedure reali. E se la sinistra invoca una costituzione ormai economicamente regredita anche rispetto allo statuto albertino, che non prevedeva il pareggio di bilancio, è il momento di spengere l’altoparlante della retorica e capire cosa sta accadendo. E come possiamo dimenticare che nella costituzione del ’48 si riconosce un solo matrimonio, quello tra persone di sesso differente? Un altro esempio di uno spirito costituente superato. Ma soprattutto è la materialità dei processi storici che deve far capire che l’articolo cardine della costituzione, quello che la basa sul lavoro, è andato. Non esiste alcuna proiezione di scenario, salvo che nelle slide renziane, dove non si tenga conto di una doppia irreversibile crisi: quella del lavoro manuale e quella, meno attesa, della capacità del lavoro digitale di rimpiazzare l’occupazione liquidata dalla stesse rivoluzioni tecnologiche che questo lavoro digitale hanno generato.

L’unico diritto costituzionale che va garantito in una società post-lavorista, quello al reddito che supporta il declino del lavoro, oggi semplicemente non esiste. La rottura a sinistra nei confronti della costituzione, ormai nel polmone d’acciaio, deve esserci su questo. Il diritto al reddito come cardine di una regolazione economica che accompagni verso l’uscita dal capitalismo. E si tratta di una strada che, in qualche significativa modalità, va praticata immediatamente sui territori. Il resto è solo arte, più o meno accettabile, della declamazione.

Per essere di sinistra oggi, per orientare a sinistra le grandi mutazioni dei nostri e dei prossimi anni, non serve quindi restaurare. Tantomeno invocare l’effetto nostalgia. Serve solo innovare. E solo innovando si recupera pienamente il senso di una tradizione. Ed è inquietante che uno degli inviti, più famosi e pressanti, a innovare sia partito dal campo sbagliato. Il riferimento a quel “siate affamati, siate folli” di Steve Jobs che ha infiammato animi che hanno poco capito il tasso di velenosità presente nella mela impressa sull’Iphone e sull’Ipad. Già, perché basta andare a vedere il pesante livello di sfruttamento delle fabbriche cinesi di Apple, niente da invidiare alla ferocia delle condizioni di lavoro della rivoluzione industriale, per capire che qualcuno questa fame e questa follia le ha marchiate sulla propria pelle. Gli Steve Jobs sono il rovesciamento dell’utopia californiana in brand privato che, in tempi come questi, sono l’esempio dell’equivoco che permette a contenuti di destra, e di sfruttamento, di veicolarsi con una veste progressista. E’ questo che bisogna evitare fin dai nostri stessi territori, per la tutela della stessa interazione quotidiana.

Oltretutto la storia dell’innovazione che ha portato al Pc è completamente diversa da quanto raccontato dalla bolsa epopea ufficiale. Ho letto che Buongiorno Livorno ha un proprio gruppo traduzioni. E’ l’occasione migliore per suggerire di tradurre il libro di John Makoff, What the Dormouse Said: How the Sixties Counterculture Shaped the Personal Computer Industry. Giusto per aprire alla storia reale, viva che passa tra controcultura degli anni ’60 e innovazione tecnologica. Una cultura che determina oggi positivamente il nostro vivere quotidiano altro che la sinistra creatività di Apple.

Aspetto quindi le amiche, gli amici, le compagne e i compagni di Buongiorno Livorno dove mi trovo già ora. In Normandia, tra le linee nemiche, a fare il guastatore. Li aspetto per un percorso di Francia liberata, giusto per usare una metafora dell’epoca partigiana, naturalmente. E questo punto quale augurio si può dare alle concittadine e ai concittadini? Politicamente parlando l’augurio è di non seguire gli Steve Jobs. Non siate affamati, basta un giro di torta per regolare il problema. Non siate folli, quando piuttosto qualcosa di meno acido, più rilassante e familiare: siate di fori. Specie rispetto alla razionalità di mercato che sta portando la nostra città, e il nostro paese, alla deriva più tragica dell’intera storia unitaria. Non siate pedanti, oppressi dalle regole, dal metodo, dal passato, dall’etichetta, dalle norme, dal pudore, dal mito prigionista del senso di responsabilità, dagli intrecci di potere. Siate di fori e non abbiate timore di buttarla veramente di fori, se queste sono le regole del gioco. E probabilmente troverete il mantenimento della promessa di felicità che è contenuta tra le pieghe della storia municipale livornese.

Questi, dalla banlieue livornese, i miei auguri a BL per tanti 18 novembre.

nique la police.