Esattamente come Michael Brown, il comico e opinionista W. Kamau Bell è alto più di un metro e novanta. E lo sa bene.
Di W. Kamau Bell
Ho paura dei poliziotti. Sono assolutamente terrorizzato dai poliziotti. Cercate di capirmi, non sono mai stato arrestato o fermato per un interrogatorio e non mi sono mai sentito dire “lei corrisponde alla descrizione”: ma questo non cambia niente. Ho paura dei poliziotti come i ragni hanno paura delle scarpe. Stai camminando, facendoti gli affari tuoi, e all’improvviso – splat! Sei morto.
In due parole: ho paura dei poliziotti perché sono nero. Per peggiorare le cose sono maschio e, per dirla tutta e fino in fondo, sono alto un metro e novantatré e peso un po’ più di centodieci chili. Anche Michael Brown, il diciottenne disarmato del Missouri ucciso dalla polizia quest’estate, era alto un metro e novantatré. A seconda di come la volete vedere potrei essere definito “un gigante buono”, proprio come i suoi insegnanti hanno descritto Michael Brown, o “un demonio”, come l’ha definito l’agente Darren Wilson nella sua deposizione al processo.
Non ho nessuna abitudine di comportamento che potrebbe farmi finire nel mirino di qualche poliziotto. Non vivo in uno di “quei quartieri” e non frequento “brutta gente” (se escludete i comici come me). Non sono coinvolto in attività criminali. Non lo dico per darmi delle arie ma sono davvero un tipo noioso. Eppure non essere coinvolto nemmeno in una di queste cose non mi fa sentire più sicuro rispetto al rischio di essere ucciso. E questo perché la natura mi ha dotato dei requisiti fondamentali per finire ammazzato senza una ragione al mondo: sono Grande, Grosso, Nero e Maschio.
Lunedì, a mezzanotte e mezza, mi è venuta voglia di un gelato. Così sono uscito, a piedi, e ho fatto un bel pezzetto di strada, perché a Berkeley, in California, vivo in un quartiere rispettabile che, in quanto tale, non ha negozi aperti ventiquattr’ore. Mi ero tirato su il cappuccio, sia perché avevo freddo sia per sentire meglio la musica dagli auricolari. Prima di arrivare a un negozio aperto ho incontrato gente di ogni genere: gente, secondo me, non molto per la quale. Perciò, prima di entrare nel negozio, ho preso alcune precauzioni. Tanto per cominciare mi sono tolto il cappuccio, anche se aveva trasformato i miei voluminosi ricci afro in una specie di frittella informe; poi, una volta dentro, non ho toccato con un dito nemmeno un oggetto che non avessi intenzione di comprare (uno degli insegnamenti di mia madre). Ho tolto le mani dalle tasche e le ho tenute palmo in alto e in bella vista, affinché il cassiere potesse vedere chiaramente che a) non nascondevo alcunché in tasca e b), ancora più importante, non avevo intenzione di tirarne fuori qualcosa all’improvviso. Non appena deciso che cosa volevo – un gelato col biscotto intorno, marca It’s It – sono andato dritto alla cassa e ho posato il mio acquisto sul bancone, con estrema delicatezza e le mani sempre bene in vista, limitando i miei movimenti a quelli strettamente necessari per prendere il portafoglio e i soldi.
Tutto sembrava andare per il verso giusto: ma quando il tipo alla cassa mi ha detto “due e venticinque” io, forse per via di tutte le mie preoccupazioni sul non sembrare brusco o scortese, ho capito “uno e venticinque”. Così lui si è messo a fissare i miei due biglietti da un dollaro, senza dire una parola né guardarmi negli occhi, e io, che di colpo avevo capito l’equivoco, ho sentito la botta dell’adrenalina.
“Uh-oh”, ho pensato, “crede che voglia fregarlo!” Con gli occhi della mente lo vedo andar su di giri – tipo “CHE SEI VENUTO A FARE QUI? EH?” – e cerco di calmarlo; lui però fraintende la situazione e tira fuori la pistola, al che scappo a gambe levate mentre chiama la polizia che, siccome vivo in un quartiere rispettabile, arriva subito. L’auto di pattuglia mi intercetta mentre sono quasi arrivato a casa e inchioda; gli sbirri schizzano fuori con le pistole spianate e io, in preda al panico, spiego: “È un equivoco! C’è un errore!” e alzo le braccia, mani in alto. A quel punto mi accorgo di avere ancora in mano il gelato, che non ho pagato. Muovo le mani convulsamente e grido: “NON AVEVO INTENZIONE DI RUBARE!” Gli agenti vedono uno che agita le braccia e urla come un pazzo, e quell’uno è Grande, Grosso, Nero e Maschio. È sufficiente. BANG! BANG! BANG! BANG! BANG! BANG! Sono morto.
Il giorno dopo viene fuori che quella sera, prima di uscire, avevo litigato con mia moglie… che recentemente su un blog avevo scritto un pezzo su comici e depressione… e che nel mio monologo ci sono delle battute in cui critico la polizia. I media scoprono che, quando frequentavo le superiori, ero assistente istruttore in una palestra di kungfu. Finisco in prima pagina: “Un comico nero esperto di arti marziali, che odia la polizia, è affetto da depressione e litiga con la moglie, ruba con destrezza un gelato in un negozio del quartiere”.
Tutto questo mi è passato per la testa – in circa un secondo: e stavo solo cercando di comprare un gelato. Non vivo in un quartiere socio-economicamente malmesso. Il mio governo non mi ha privato della possibilità di ricevere una buona istruzione. Non mi ritengo, in definitiva, vittima delle circostanze. Ma sento ogni millimetro del mio metro e novantatré, ogni grammo dei miei centodieci chili (e passa), ogni sfumatura di nero della mia pelle. E, a meno che non pensiate che nella scena appena descritta io abbia esagerato, so perfettamente che il mio corpo racchiude elementi della morte di Michael Brown, Oscar Grant, Kajieme Powell, Eric Garner e altri ancora.
Il fatto è che essere Grande, Grosso, Nero e Maschio ha delle conseguenze. Essere Grande, Grosso, Nero e Maschio è la ragione per cui sorrido molto e subito; è la ragione per cui sto raramente dritto in tutta la mia statura, preferendo curvarmi leggermente e abbassare le spalle. Molto spesso, quando incontro qualche conoscente che non mi vede da un po’, mi sento dire: “Avevo dimenticato quanto sei alto!”. Mi succede con tutti, o quasi, ed è proprio quel che cerco di far dimenticare. Ecco che cosa mi ha fatto l’America: a me, ad altri come me e, in un certo senso, anche a voi. Non dico di credere che sarò ucciso da un poliziotto: dico che, se dovesse succedermi, non ne sarei sorpreso.
Traduzione di Fiamma Lolli per Buenos Dias Leghorn – staff di traduzioni di Buongiorno Livorno
L’articolo originale è in http://www.vanityfair.com/online/daily/2014/11/w-kamau-bell-black-in-america. L’autore, W. Kamau Bell, ancora sconosciuto in Italia (http://www.wkamaubell.com/), sarà in tour negli USA con Oh, Everything! fino alla fine di gennaio del 2015. Su Wolfpop.com potete ascoltare il podcast di Denzel Washington Is Greatest Actor Of All Time Period (Denzel Washington è il più grande attore di tutti i tempi, punto, NdT).
Il ritratto di Kamau Bell si trova in https://c1.staticflickr.com/5/4084/5155152005_5bcbf0cff2_b.jpg ed è stato modificato come da licenza https://creativecommons.org/licenses/by-nc/2.0/