Cinque anni fa, a luglio del 2009, inviai una lettera aperta al presidente Barack Obama. L’argomento, purtroppo, era la tortura. Avevo scritto quel testo su richiesta della sezione statunitense di Amnesty International, come parte di una campagna per convincere il presidente USA a ordinare l’apertura di un’indagine e, se questa avesse portato a prove sufficienti, il rinvio a giudizio di quegli esponenti del governo precedente che fossero stati accusati di crimini contro l’umanità.
Ripubblico ora, con dolore e perplessità, la lettera uscita originariamente su queste pagine.
di Ariel Dorfman
pubblicato su www.pagina12.com.ar12.com.ar
Egregio presidente Obama:
Per sempre e oltre.
Sono queste le parole di cui voglio farle dono, le parole condivise tanto dall’uomo che tortura quanto dalla sua vittima, le parole che definiscono il destino di entrambi.
Perché per la vittima il momento del dolore e della degradazione è un momento che si moltiplica senza fine. Per sempre. La tortura non succede una volta sola bensì si ripete, nella mente e nella memoria del corpo; va oltre l’acqua nei polmoni o il sigaro incandescente sulla faccia. Succede e poi continua a succedere, ancora e ancora e ancora.
E per sempre e oltre è anche il credo del carnefice. La mano non scaricherà corrente elettrica né riempirà una bocca di escrementi, le orecchie non si permetteranno di registrare le urla strazianti a meno che non ci siano la promessa e la certezza che nessuno verrà a presentare il conto, a meno che colui che causa quelle sofferenze non si senta in salvo dalla giustizia e presuma che potrà vivere, sì, per sempre e oltre, nel tempo eterno del’impunità.
Sono quarant’anni che vivo lottando, come scrittore e come cittadino, contro la piaga della tortura, ed ecco il segreto più ignobile che ho scoperto su queste azioni vigliacche, signor presidente: che nessuno tortura se crede che sarà preso e dato in pasto alla pubblica opinione. Nessuno tortura se pensa che sarà esposto, nudo, di fronte a occhi sconosciuti e giudicanti, se sa che dovrà affrontare in tribunale gli uomini e le donne che lui stesso ha lasciato spogliati e indifesi in qualche stanza segreta e lontana. Per sempre e oltre si spinge il suo orizzonte, il suo alibi, il suo demone custode, il prerequisito fondamentale che lo rassicura: mai si saprà la violenza che questi esecutori hanno inflitto o stanno per infliggere, sono queste le parole che a loro, sempre e per sempre, consentono di dormire la notte, acccarezzare i propri figli, guardarsi allo specchio domani e dopodomani mattina.
È per questo che, tanto per la vittima in cerca di consolazione e riparazione quanto per il criminale che ha infranto sia la legge del proprio Paese sia quella, più implicita e tacita, che ci dichiara tutti appartenenti alla stessa e solidale specie umana, è per questo che la risposta che dobbiamo dare a questo per sempre e oltre è fatta di due parole purificatrici, celestiali forse: Mai Più.
Sono parole che oggi agli Stati Uniti servono in modo disperato. Però lei sa bene che quelle parole, Mai Più, sono facili a pronunciarsi e difficili da materializzare. Quelle parole hanno bisogno, innanzitutto, come ha chiesto Amnesty International, di un’indagine esaustiva, imparziale e ben finanziata che cerchi la verità, per riuscire a comprendere come sia stato possibile che la sua nazione, presidente, abbia accettato di torturare i propri prigionieri fino a diventare internazionalmente abietta. E sono ancora quelle parole, Mai Più, a chiedere che, subito dopo, chi ha commesso quei crimini contro l’umanità sia sottoposto a processo, e che tale processo veda imputati specialmente i più potenti, coloro i quali hanno dato quegli ordini e permesso quell’infamia.
Accettare qualcosa di meno di un processo ampio e implacabile sarebbe sottomettersi alla stessa politica della paura che lei stesso ha individuato, con tanta eloquenza, come condizione prima dell’assalto disastroso sferrato ai diritti umani. Accettare qualcosa di meno vuol dire incoraggiare, se nuovi episodi di terrore colpiranno questa parte del mondo nel futuro prossimo, il possibile ripetersi di deliri del genere, che corrompono l’anima di un popolo.
È una benedizione, signor presidente, che tocchi a lei la facoltà di rispondere a questa esigenza: è infatti necessario purificare il mondo, ed è una benedizione essere una delle persone privilegiate in grado di aiutarci a cambiare la storia. Di tutte le persone esistenti a questo mondo lei è l’unico, per via della sua speciale posizione di potere, che può dichiarare al suo Paese e al resto dell’umanità che la tortura non ha ragione di esistere, in fin dei conti, e questa dichiarazione dovrà essere valida per sempre e oltre.
Da un poeta a un altro poeta, con grande rispetto e speranza e ammirazione.
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Quando pubblicai queste righe mi aspettavo forse che il presidente avrebbe risposto alla mia lettera o a quella di altri partecipanti alla stessa campagna, come Stephen King, Martin Sheen e Alice Walker?
No di certo. Quelle parole miravano più a orientare l’opinione pubblica che a convincere l’uomo più potente del mondo.
Eppure, nel fondo del fondo del cuore, conservavo un sottile barlume di speranza: che Obama avrebbe modificato la sua politica abituale consistente nel chiudere gli occhi di fronte al passato e affrontato il bisogno di fare giustizia.
Gli Stati Uniti si vantano di essere la terra in cui c’è una seconda opportunità, sempre.
Se è così è forse arrivato il momento cruciale di un cambio di posizione sulla tortura. Forse ora il presidente Obama, stanato dalla terribile luce della verità e dalla terribile oscurità del dolore altrui, saprà trovare la saggezza e il coraggio per togliere dal proprio Paese questa macchia che ne contamina la storia, l’immagine, l’anima.
O è troppo tardi?
Traduzione di Fiamma Lolli per Buenos Dias Leghorn – staff di traduzioni di #BuongiornoLivorno
Ariel Dorfman è autore di Come leggere Paperino: ideologia e politica nel mondo di Disney, con Armand Mattelart, trad. di Gianni Guadalupi, Feltrinelli, Milano 1972; La morte e la fanciulla, trad. di Guido Almansi e Claude Béguin, Garzanti, Milano 1993; Verso Sud guardando a Nord: l’avventura di un doppio esilio, trad. di Paolo Croci, Guanda, Parma 1999; La rivolta dei conigli magici, trad. di Maria Bastanzetti e illustrazioni di Chris Riddell, Mondadori, Milano 2003;Memorie del deserto: viaggio attraverso il Cile del Nord, trad. di Maurizio Migliaccio, Feltrinelli Milano 2005; Purgatorio, trad. di Alessandra Serra, Einaudi, Torino 2006. Tutti questi libri sono presenti in una o più biblioteche pubbliche di Livorno. Impossibile, invece, avere disponibili al prestito i libri che seguono: La tata e l’iceberg, trad. di Maria Elena Vaccarini, Il Saggiatore, Milano 2001; L’autunno del generale, La storia infinita del caso Pinochet, trad. di Piero Budinich, Marco Tropea, Milano 2003; Città in fiamme (con Joaquin Dorfman), trad. di Anna Donato, Fabbri, Milano 2006; Dall’altra parte, trad. di Alessandra Serra, Einaudi, Torino 2008.
Un’altra lettera aperta di Dorfman, stavolta indirizzata a Pinochet nel giorno del suo arresto a Londra, si può leggere in http://www.peacelink.it/buone/a/19718.html
Per saperne di più sull’autore, cui Wikipedia Italia non dedica nemmeno una voce, http://www.arcadia-media.net/autori/ariel-dorfman/.
Immagine da http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/4b/AbuGhraibAbuse-standing-on-box.jpg