“Lavoro a Livorno: fra vertenze e prospettive”


Buongiorno Livorno e in particolare il suo gruppo Lavoro sono impegnati da mesi in una elaborazione politica di idee concrete per arrivare ad invertire il corso di una crisi che ha colpito al cuore la città. La caduta della domanda di beni e servizi in Italia si è riversata sui traffici portuali e sulle tante attività manifatturiere presenti nell’area industriale. Ma Livorno era già in crisi a tal punto che come altre zone costiere della Toscana era stata annoverata tra le province a minor reddito pro-capite dette ad “Obiettivo 2” (nel 2001 per il periodo 2000-2006).
Per questo il governo di Livorno non essendo riuscito a innovare la struttura dell’economia livornese a partire dagli anni ’80 è entrato inerme dentro la crisi del 2008 addirittura negandola.
Siamo oggi a contare le attività che chiudono di fronte ad una drammatica situazione abitativa e ad un’incertezza lavorativa estesa a tutta la popolazione, anche per coloro che hanno un lavoro ben avviato.
La soluzione che la storia adotta in casi del genere è lo spopolamento di un area urbana che non rende più. Buongiorno Livorno è nata anche per opporre resistenza a questo naturale deflusso demografico ritenendo che la città potrebbe avere un corso differente e positivo.

 La caduta del valore reale dei redditi da lavoro dipendente e autonomo procede in modo differenziato a seconda dei settori ma il destino ultimo è che cadranno ancora e non sappiamo bene dove si fermeranno per almeno tre componenti incerte:

– le opportunità di reddito dentro scale produttive grandi e dentro ambiti magari più piccoli di tipo artigianale, calano in relazione a una fase di contrazione della domanda e quindi di tutte le fasi del lavoro che va a soddisfare le richieste aggregate;
– la gestione della domanda pubblica aggregata prima in mano alla miriade di enti locali oggi si trova regolata secondo precise misure decise dalla Commissione Europea che decreta i trasferimenti in base a progettualità e limita attraverso l’imposizione del Patto di Stabilità e Crescita;
Il World Investment Report 2013 dell’Unctad ci dice che gli investimenti esteri sono calati nel mondo del 18% tra il 2011 e il 2012 mentre in Italia del 70%. 
Quindi in un contesto dove ci sono shock così imponenti sia per mano pubblica che privata è da capire come si faccia a rimanere vivi. A questo punto si deve considerare come prioritaria la questione del credito a livello locale e capire come eventualmente si stanno scavando la fossa decine di famiglie e imprese.

 La fine della Trw, di recentissima memoria, ha una valenza rilevante che va oltre la pur tragica perdita di centinaia di posti di lavoro: è la fabbrica simbolo della Livorno industriale dal 1936, quando si chiamava Spica, Società pompe iniezione Cassani, ribattezzata la Spiga. E’ la chiusura di un’epoca nella città dei portuali e dell’industria di Stato. Nell’Italia dell’ultimo autunno caldo, dei 160 tavoli di crisi aperti al ministero dello Sviluppo, da Taranto a Genova a Piombino, degli operai della ThyssenKrupp di Terni senza stipendio che finiscono sulle prime pagine perché picchiati dalla polizia e per l’incapacità del ministro Angelino Alfano, Livorno è un laboratorio in cui si sperimenta come il lavoro abbandoni una città. E come crisi economica, crisi sociale e crisi politica si stiano drammaticamente intrecciando. «Una crisi che va oltre le dinamiche congiunturali e assume tratti strutturali con forti riflessi per il mercato del lavoro e, più in generale, per la tenuta sociale», si legge nell’ultimo rapporto della regione Toscana. E dire che per il Censis Livorno era una delle città più vitali d’Italia, con il centro di robotica sul porto e l’indonesiano Bachtiar Karim che produce olio da palma e biodiesel. Invece è un vulcano pronto a esplodere. Anche nella mirabolante epoca della stazione Leopolda, il treno Renzi che qui non si è mai fermato.

 Saracinesche abbassate, 350 negozi hanno chiuso per sempre dall’inizio del 2014. Il tasso di disoccupazione è il 16,1 (rispetto al 7,9 toscano), quello giovanile è del 58,8 tra i giovani sotto i 24 anni e del 26,9 tra i trentenni, quello femminile è del 19,6% rispetto al 9,6 toscano. Nella nostra provincia infine sono circa 10.000 gli “scoraggiati” (neet) – coloro che non studiano, non lavorano e non cercano neppure un lavoro, giovani fra i 15 e i 29 anni, pari al 22% del totale, contro la media regionale del 16%.

Livorno è l’esempio di come il lavoro si ritiri da un territorio. Come la città di Flint del film di Micheal Moore sulla crisi della General Motors in Michigan, più graduale ma più drammatica, o, se si preferisce, come la Bulgaria o la Romania dopo la caduta del Muro, quando crolla un sistema economico e non è pronta una classe dirigente di ricambio. La città del grande patto che reggeva la Repubblica tra sindacati, imprese, partiti, governo. Il Pci era il padre-padrone, i sindacati trattavano, la Dc mediava, l’Iri portava le commesse. Il simbolo di quell’epoca di felicità privata e di debito pubblico era il Cantiere, passato dai fratelli Orlando all’Ansaldo e alla Fincantieri, oggi al gruppo Azimut Benetti del deputato di Scelta civica Paolo Vitelli che ha messo in mobilità 49 lavoratori. Un sistema già finito negli anni Ottanta, ma la città era sopravvissuta grazie a un’ondata di liquidità e di benessere, generata dagli ammortizzatori sociali dell’epoca, molto generosi, gli investimenti immobiliari (troppo spesso legati e speculazioni edilie e ad operazioni di gigantesche cementificazioni di territorio) e la rendita del risparmio. Un neo-capitalismo di massa, un laissez faire al cacciucco, specchio di quello nazionale, arricchitevi, fate circolare i soldi. Tutto gestito dal centrosinistra discendente del Pci.

trwI primi segnali di crisi arrivano alla metà degli anni Duemila, prima della recessione. Il passaggio brusco dalle industrie di Stato alle multinazionali straniere senza volto. Dalla politica nazionale, con i suoi riti, il gioco delle compensazioni tra i poteri locali, il partito e il sindacato, alla lettera di licenziamento che arriva direttamente nella cassetta della posta, chissà se è questa che chiamano disintermediazione. La Trw è il punto di arrivo di una parabola di quasi ottant’anni, niente racconta meglio l’evoluzione della nostra industria. L’ex Spica viene acquistata dall’Alfa Romeo di Stato, poi dalla Fiat, negli anni ’90 viene ceduta a due multinazionali che la dividono in due, la Delphi e la Trw. Fanno componentistica d’auto, sistemi di guida, la scatola sterzante. La Delphi chiude nel 2006, un anno prima dello tsunami finanziario che travolge l’America e poi l’Europa, la Trw ha cessato di vivere pochi mesi fa. Il 25 per cento degli occupati livornesi lavora in una multinazionale, all’industria pubblica oltre all’Eni, resta la Wass, gruppo Finmeccanica, Sistemi Avanzati Subacquei, fabbrica siluri e controsiluri. Lo Stato arretra e vende agli stranieri. L’incubo per l’ultima generazione di operai livornesi non è la Cina ma la Polonia, che sembra l’Italia del boom economico, la Livorno degli anni Cinquanta. Perfino le Moto Fides, che portano nel nome lo stemma di Livorno, sono in mano ai tedeschi della Pierburg.

 In sintesi, da un tessuto prevalentemente industriale basato sulle commesse di Stato e le partecipazioni pubbliche, si è passati a uno dipendente dalle multinazionali della componentistica auto e della produzione di energia da combustibili fossili. In ambito portuale, si è passati dal monopolio della Compagnia Lavoratori Portuali a una situazione feudalizzata di sostanziale deregolamentazione che si è tradotta in una diffusa guerra tariffaria sulle spalle dei lavoratori.

«Negli anni ’90 Livorno era una fabbrica, ora è un deserto. Non chiudi noi, chiudi una città», ha detto Stefano Sodano, operaio della Trw iscritto alla Fiom. «Le multinazionali vengono, dissanguano il territorio, prendono quello che vogliono e se ne vanno. Dovrebbero essere obbligate a presentare piani industriali con incentivi su costi energia e rifiuti. L’articolo 18 non c’entra nulla. A Livorno la prospettiva dell’abolizione non serve ad attrarre investimenti, né la sua esistenza ha difeso il nostro posto di lavoro». Il 16 settembre ha chiuso la Mtm, la maxi-fabbrica delle auto Gpl che aveva assunto 900 lavoratori grazie agli incentivi statali. Da anni è preannunciata la crisi futura, ampiamente prevista, del grande stabilimento dell’Eni dirimpettaio della Trw, 1200 lavoratori, 470 nella raffineria. Per l’ennesima volta la crisi è stata rimandata, ma ancora per quanto?

Ora abbiamo davanti la vicenda del Call Center People Care di Guasticce e dei suoi 450 lavoratori.. Guasticce, Collesalvetti. Dove si trovano anche la Cooperativa Isonzo e la B3. Realtà che convivono con grandi difficoltà per i lavoratori. Dove c’era MTM, chiusa. Regno di Lorenzo Bacci, sindaco di Collesalvetti e segretario del PD che ha mostrato distrazioni e scarsa attenzione verso queste vertenze, tanto che alcuni osservatori – non solo del territorio – vedono questo Comune come il vero laboratorio dello sfruttamento dei lavoratori targato Renzi e PD.

Ovviamente ci sarebbe da aprire un capitolo sull’impatto sulla città del crollo del Monte dei Paschi, dopo decenni di politica in discrezione, in segreto, che ci lasciano ulteriormente senza strumenti per prendere decisioni.

 La città è commissariata, non solo il pd locale. Commissariata dal governatore Rossi e dal governo Renzi. I soldi promessi per la Darsena Europa e per l’Accordo di Programma sembrano operazioni da marketing politico, più che legati a progetti sostenibili, concreti e duraturi e legati a logiche di ricatto attraverso le quali si cerca di mantenere il controllo politico della città, a maggior ragione dopo aver perso le elezioni. Come Buongiorno Livorno abbiamo il dovere di vigilare e di monitorare, consapevoli che i progetti e soprattutto i finanziamenti sono promessi e sostenuti da chi, su Livorno e da fuori Livorno governa da sempre e ci ha portato a questo disastro. Quindi è naturale essere scettici e non fidarci.

Livorno dallaereo 1Non ci accontentiamo delle rassicurazioni di Rossi e dell’assessore regionale Simoncini, della parlamentare e sottosegretaria Silvia Velo, dei vari livelli del PD locale, provinciale e regionale, della CNA, della Confindustria, dei principali sindacati e compagnia cantante che decantano le lodi del “modello Piombino” e ci dicono che i soldi per rilanciare Livorno – attraverso la Darsena Europa e l’accordo di programma – ci sono. I documenti, scarni, approssimativi, inconsistenti che abbiamo letto in questi mesi e prodotti dal PD, dalla CGIL, dalla Confindustria non sono sufficienti, anzi. Troppo facile enunciare i 3 grandi assi del nuovo sviluppo – porto, infrastrutture, industrializzazione – sembrano compitini scritti da bambini delle scuole elementari (con tutto il rispetto per i bambini) che usano la formula del karaoke, ripetendo sempre gli stessi slogan e le solite ricette, per ignavia o per incompetenza. Eravamo presenti all’ incontro presso la CNA a gennaio, in occasione dell’investitura ufficiale di Lorenzo Bacci nuovo segretario del PD e del nuovo corso renziano (lì abbiamo sentito Maurizio Strazzullo – segretario CGIL – invocare il lavoro, qualunque lavoro, va bene…..): niente di nuovo, anzi, tutto come sempre, in nome della crescita (fasulla e retorica) e dello sviluppo insostenibile.

A proposito di CGIL: in questi anni a Livorno l’abbiamo vista sempre a fianco del PD, rivendicando il rigassificatore e il progetto del nuovo ospedale come volani di sviluppo. Rigassificatore: sembra che lo Stato finanzi questo fallimentare progetto con 85 milioni di euro l’anno, milioni per mantenere 45 posti di lavoro (cifra stimata per eccesso). Con 85 milioni si potrebbe garantire uno stipendio decente ad almeno 2000 disoccupati livornesi attraverso impieghi nelle opere di bonifica dei 79 siti iqnuinati a Livorno (numero che risulta dall’elenco dei siti di interesse nazionale, SIN). Non ci fidiamo e diffidiamo dei contenuti che Rossi e il PD vorranno inserire nella “vertenza Livorno” e quindi dentro il dispositivo normativo “area di crisi industriale complessa” e il conseguente Accordo di Programma per Livorno: abbiamo già dato molto in termini di forza umana e qualità ambientale ad un sistema industriale onnivoro, inquinante e virulento (non dimentichiamoci mai di essere la seconda provincia più inquinata d’Italia per emissioni industriali). L’accordo di programma dovrebbe essere l’occasione per riprendere una politica di programmazione economica e per approntare una strategia di uscita da un modello che si è rivelato non all’altezza dei tempi. Per attirare nuovi investimenti dall’esterno e, soprattutto, per legarli al territorio per lunghi periodi, ma anche per dare vita a nuove attività produttive ecologicamente compatibili e sostenibili su base territoriale, legate cioè alle esigenze di una filiera corta. Sull’accordo di programma sentiremo un contributo di Valentina Barale che ha studiato la natura, le ragioni e gli obiettivi di un Accordo di Programma

Compito di BL è quello di promuovere – a fianco di economie e di produzioni tradizionali – modelli economici di uscita dalla società industriale. Per questo abbiamo studiato un autore come Leonard Nevarez, sociologo e specialista delle trasformazioni urbane in California. L’assenza di una pluralità di scenari possibili sull’economia livornese, invece della consueta previsione su “quando ci sarà la ripresa”, è una delle gravi carenze sul territorio. In generale sull’economia livornese si producono soprattutto materiali di rappresentanza, per essere filtrati da uffici stampa e redazioni, piuttosto che strumenti di analisi. In Nevarez il modello post industriale non è un bricolage di elementi messi assieme secondo la retorica partecipativa e arcobaleno. Ma un nesso sistemico tra produzione di software, di entertainment e turismo (sarebbe fondamentale per questo rilanciare il ruolo pubblico della Porto 2000, anzichè svenderla). I tre elementi risultano sinergici, capaci di attirare e creare ricchezza, saperi comuni, mentre le figure professionali spesso si scambiano da un settore all’altro. L’ originalità dei tre settori (software, entertaiment, turismo) non è solo sinergica dal punto di vista della creatività ma anche della produzione di ricchezza. Si tratta di una dimensione economica dove non a caso, è stato fatto notare, è nato il modello rifiuti zero che viene proprio dalla California di Nevarez (a Livorno si è calcolato che a pieno regime il sistema “rifiuti zero”, attraverso un sistema industriale del riciclo, potrebbe dare 150 nuove occupazioni). Partendo dall’economia portuale livornese, sfruttando il giacimento di big data che questa produce, si possono estrarre fondi che producono un centinaio di posti di lavoro per i primi tre anni (secondo il modello alta intensità di lavoro, bassa di capitali. Puntando sulla conoscenza invece che sul mattone).

 Non c’è solo una economia da correggere e da riformare, ci sono soprattutto nuovi modelli da generare. Una trasformazione è necessaria: essa passa dalla modernizzazione ecologica dell’economia tramite la riconversione ecologica dell’insieme delle attività produttive e di servizi (si sappia che il 2 dicembre 2014 è stata presentata alla Regione Lazio la Proposta di Legge regionale “Interventi per la Riconversione Ecologica e Sociale”, elaborata dal basso lungo un anno di lavoro da una cordata di associazioni, realtà sociali, sindacali, datoriali ed istituzionali, che vede la firma di diversi consiglieri regionali, anche del PD). La strada da imboccare è la progressiva e graduale “riterritorializzazione” dei mercati e delle produzioni che coincide in gran parte con la conversione ambientale nei settori vitali del sistema economico.

Le riconversioni produttive vere vanno concepite, progettate e costruite dal basso con tutti i soggetti interessati, a partire da coloro che rischiano il posto di lavoro, senza illuderli troppo sulla continuità di produzioni (e di industrie obsolete, inquinanti o delocalizzabili) che non hanno avvenire e sostenibilità; e coinvolgendo tecnici, progettisti, sindacati, manager, imprese dell’indotto. E soprattutto promuovendo dal basso il mercato. Chiamando per cominciare a confrontarsi in un rinnovato «spazio pubblico», senza settarismi e preclusioni, tutti coloro che nell’attuale situazione non hanno avvenire: gli operai delle fabbriche in crisi, i giovani senza lavoro, i comitati di cittadini in lotta contro gli scempi ambientali, le organizzazioni di chi sta già provando a imboccare strade alternative: dai gruppi di acquisto ai distretti di economia solidali. E poi brandelli di amministrazioni locali (non ci sarà riconversione ambientale senza un recupero radicale da parte delle amministrazioni locali del potere di intervenire nella gestione dei processi di produzione e di consumo che interessano il territorio), di organizzazioni sindacali, di associazioni professionali e culturali, di imprenditoria ormai ridotta alla canna del gas; e nuove leve disposte a intraprendere, e a confrontarsi con il mercato, in una prospettiva sociale e non solo di rapina. Consapevoli che il confronto nella maggior parte dei casi andrà imposto attraverso modalità conflittuali, cioè con la lotta. Il progetto elaborato dal gruppo green e social economy di Buongiorno Livorno, in particolare il Polo delle rinnovabili, va in questa direzione e dopo il referente del gruppo, Lorenzo Partesotti, ce lo presenterà, in sintesi.

 Il nostro compito è quello di affiancare sempre più la difesa dell’occupazione e del reddito sui luoghi di lavoro – sacrosanta ed irrinunciabile – alla messa in discussione delle logiche delle tipologie dei beni e dei servizi prodotti e alla lotta per garantire i servizi vitali ed essenziali a tutti, favorendo forme di economia alternative (quali quelle solidali, comunitarie, collaborative) a quelle tradizionali e di stampo capitalista. Prospettare soluzioni di redditi di comunità, di promozione di redditi di cittadinanza o di esistenza (anteponendo la sicurezza sociale , ovvero la continuità di reddito a prescindere dalla prestazione lavorativa e l’accesso ai servizi di base materiali e immateriali -dalla casa alla mobilità e alla conoscenza-), di banche del tempo, di microcredito, di economia solidali e di prossimità, di nuove forme di consumo condiviso non è roba da persone naif ma è ricerca concreta per praticare e sperimentare soluzioni alternative e maggiormente corrispendenti all’attuale situazione dove la precarietà e l’espulsione dal mondo del lavoro sono diventate prassi e non anomalie.

BuongiornoLivorno ha ritenuto necessario elaborare, nel dicembre scorso, alcune proposte per interventi urgenti e straordinari a favore di lavoratori (dipendenti e non) che perdono lavoro e che si trovano improvvisamente senza reddito e alle prese con pagamenti necessari e coatti.

Ci riferiamo in particolare a quei casi in cui si ha una perdita di lavoro improvvisa (come avvenuto ad esempio ai lavoratori della TRW) e quindi con perdita parziale o completa del reddito (soprattutto per coloro che si ritrovano senza ammortizzatori sociali) a fronte di spese previste e preventivate sulla base del reddito precedente (in primis mutui, rate per crediti al consumo ecc.). Ecco quindi le proposte di adottare nuovi metodi di riduzione o di esenzione delle tasse e tariffe comunali che tengano conto della situazione occupazionale dei cittadini; la costituzione da parte dell’Amministrazione Comunale di un fondo di solidarietà occupazionale; la realizzazione di una vera “spending review” per reperire finanziamenti per integrare il fondo di solidarietà occupazionale e per investimenti che creino occupazione; per la promozione dei finanziamenti regionali attraverso le forme di prestito sociale e microcredito.

Chiudo con una citazione della nostra Fiamma Lolli:

Ci è richiesta ora una grande lucidità, che unisca il massimo della partecipazione emotiva al massimo della capacità inventiva – dobbiamo saper inventare scenari, osare soluzioni inedite, spingere più in alto l’asticella del possibile. Dichiarare la nostra totale solidarietà ai lavoratori e alle lavoratrici impegnati in una trattativa disperata non sarà nemmeno lontanamente sufficiente se non sapremo immaginare, offrire e praticare alternative in grado di coniugare sopravvivenza e dignità, lavoro e sì, felicità .

Stefano Romboli, presidente Buongiorno Livorno

(Introduzione all’incontro aperto del 23 marzo 2014 “Lavoro a Livorno: fra vertenze e prospettive” con Michele De Palma, responsabile Fiom-CGIL settore automotive)

Foto: Giacomo Bazzi