E’ passato un anno da quel venerdì 16 maggio 2014. Quel giorno i lavoratori MTM appresero dalla voce di un autotrasportatore che non ci sarebbero stati più carichi di vetture da trasformare, che quello appena messo a terra sarebbe stato l’ultimo. Le immediate verifiche telefoniche confermarono l’informazione avuta. Si mise in moto il meccanismo per l’organizzazione di un presidio permanente in fabbrica: i nomi dei dipendenti da fornire alla Digos, la lavagna dei turni. La produzione si fermò immediatamente, si tennero alcune assemblee con la partecipazione delle autorità e delle segreterie sindacali.
Il copione, in casi come questo, è noto, anche un po’ scontato. Passano così quarantatre giorni: il 27 giugno i sindacati si presentano alla nostra assemblea permanente con una proposta di accordo che prevede la concessione di sette mesi di CIG in deroga, mobilità volontaria incentivata, la possibilità di chiedere un trasferimento presso la sede centrale di Cherasco. In ogni caso, la chiusura definitiva dell’insediamento MTM di Livorno Interporto è certa. Tutto questo a fronte dell’immediato scioglimento del presidio. I lavoratori si alzano immediatamente, dando per scontata l’approvazione dell’accordo. Solo pochi chiedono di discutere ed eventualmente votare. MTM ha vinto.
Nel mese che trascorre da quel giorno, l’azienda si rimangia tutte le promesse e, come regalo finale, offre un incentivo all’esodo di 5500 € a fronte della rinuncia a qualsiasi vertenza. La grande maggioranza dei lavoratori accetta, la vicenda si chiude ufficialmente il 12 settembre con la firma delle liberatorie.
Fin qui la cronaca, più o meno completa ed obiettiva perché stilata da un ex dipendente di MTM. Alcuni di noi hanno trovato soluzioni temporanee preso aziende delle zona, alcuni altri passano le giornate a rispondere ad annunci, a prepararsi per selezioni e colloqui, a reinventarsi il proprio profilo professionale per adattarlo ad eventuali possibilità diverse da quelle finora incontrate.
Il pensiero va al futuro, al nostro e a quello dei nostri figli. Ci si sente soffocare, gli spazi di manovra e di scelta sono sempre minori ogni giorno di più. I recenti provvedimenti governativi sul lavoro affermano, senza possibilità di replica, che il lavoratore deve accettare il ricatto “lavoro in cambio di diritti”. Non c’è legame causale tra la fine del rapporto di lavoro e la produttività del lavoratore. Prima che MTM asportasse il mio stabilimento come un tumore, a me piaceva il lavoro che stavo facendo, e sono convinto che questo lavoro, proprio perché fatto con passione, fosse utile anche all’azienda stessa. La vicenda MTM è pre-Job Act ma ne rappresenta l’essenza, la sperimentazione di una beta-version prima della release finale.
E’ necessario, assolutamente necessario, pensare al lavoro in un modo diverso. Questo va fatto non solo perché sono cambiati gli scenari normativi o i rapporti di forza tra gli attori in campo, quanto perché è cambiata la natura stessa del lavoro. La vicenda MTM ma anche quella precedente Delphi e quella successiva TRW dimostrano che il modello scelto per l’industrializzazione del nostro territorio è fallito. #BuongiornoLivorno negli ultimi giorni ha reso pubblici due documenti: il primo, in occasione del Primo Maggio, affronta di petto il tema della “scelta del lavoro”, della necessità di sottrarsi al ricatto ignobile del lavoro purchessia che fa felice il capitalismo mordi e fuggi, capace di prosperare sulla manna degli incentivi statali e, non appena il vento cambia, levare le tende. Il caso MTM è proprio questo. Sfuggire al ricatto si può, individuando un reddito di esistenza, universale, che sottragga le persone dalla necessità di piegarsi alle condizioni più infami.
Il secondo documento ha nel mirino l’accordo di programma recentemente siglato, evidenziandone le lacune e smascherandone la natura mediatica e di cattura del consenso. Nell’accordo si ripropone la visione, anzi la mancanza della stessa, che ha desertificato il panorama industriale livornese. Non c’è nulla su un nuovo criterio di sviluppo, non c’è nulla sulle energie rinnovabili e sul futuro del Polo Energetico Livornese. Si riconduce tutto a incentivi e sgravi per attirare investitori e rendere appetibili aree pubbliche e private slegando tutto questo dall’uso e dal radicamento, si spacciano cifre del tutto ipotetiche come cash, si inverte il rapporto causa effetto tra Dichiarazione di Area di crisi complessa e Accordo di Programma, considerando la prima come un obiettivo da raggiungere del secondo. Insomma, si persevera nell’errore.
I lavoratori stessi dovrebbero riuscire a pensare al lavoro in un modo diverso. Intanto, l’esperienza del Coordinamento delle lavoratrici e dei lavoratori livornesi ha messo in chiaro che tutti hanno bisogno di tutti, che non esistono singole vertenze ma una sola fatta da tutte quante, che colpendo uno colpiscono tutti. Ogni lavoratore deve essere il primo sindacalista di se stesso, a prescindere dalla sua appartenenza sindacale. Questo dovrebbe contribuire a far crescere la maturità delle persone, quella consapevolezza che il mondo del lavoro deve essere più inclusivo possibile, che esistono intere categorie di lavoratori che non hanno mai beneficiato né mai lo faranno di ammortizzatori sociali, che è necessario allargare il proprio orizzonte, proprio per trarne anche un vantaggio personale e professionale.
La nuova parola d’ordine, secondo me, deve essere “lavoratori di ogni lavoro (e di ogni paese) unitevi!”.
Questo perché ognuno ha diritto alla propria felicità, e anche mio figlio ha diritto al suo futuro, esattamente come i figli di Mariano Costamagna.
Ivano Pozzi – Direttivo #BuongiornoLivorno – ex dipendente MTM
Foto: Ivano Pozzi