Dopo il voto: sulla Lega e sul razzismo a Livorno


L’esito delle elezioni regionali ci consegna un’astensione record: anche in Toscana è andata a votare meno della metà di chi ne aveva il diritto; anche nella nostra città si è a malapena superato il 44%. L’affluenza alle urne non era mai stata così bassa.

Tutti perdono voti, per primo il Pd. La sinistra si accontenta delle briciole, il Movimento 5 Stelle – presente per la prima volta in Regione – è in calo rispettto alle elezioni politiche (nazionali, europee e amministrative), la destra “moderata”, legata ancora a quel che resta di Berlusconi, tracolla. L’unico schieramento che guadagna, e moltissimo, è la Lega, alleata apertamente con la destra di Fratelli d’Italia e An: anche a Livorno, ritenuta da decenni “roccaforte rossa” e da secoli simbolo di tolleranza, convivenza e integrazione, ha fatto un boom, e questo perfino nei quartieri popolari e in quelli a nord della città – Corea e Shanghay – un tempo principali serbatoi del voto al Pci e ora al Pd. E tutto questo senza il benché minimo radicamento sul territorio: qui non esistono circoli o sezioni leghiste, e i banchetti in campagna elettorale sono stati ben pochi.

Chi fa del razzismo e dell’odio contro chiunque sia visto e definito straniero il proprio principale se non unico traino e ragion d’essere acquista dunque consenso. Un dato che deve farci amaramente riflettere: non solo sulla capacità di incidere a livello emotivo, quello che parla alla pancia, su chi la crisi la subisce più di altri, sulle fasce deboli ed emarginate e su chi spesso il lavoro l’ha perso o ne ha uno precario e malpagato ma anche sul mito di Livorno città accogliente, legata al passato (ormai troppo passato, ahinoi) delle leggi Livornine, della Città delle Nazioni, regina della libertà di culto e di professione religiosa e politica – siamo stati gli unici in Europa a non avere MAI recluso in un ghetto la comunità ebraica!. È questo mito che, troppo spesso e colpevolmente, ci porta tuttora a crederci al riparo da ogni rigurgito fascista e razzista. Altro che anticorpi! I livornesi, e le livornesi, sono sempre più omologati, incollati alla televisione, pronti a nutrirsi della pappa pronta che i media locali passano quotidianamente. In una parola, Livorno sembra davvero essersi allineata al resto d’Italia, dove gli stranieri sono diventati il capro espiatorio e l’alibi principale, se non esclusivo, di ogni colpa. Basta girare per le strade, ascoltare i discorsi nei bar e nei negozi, in autobus, fuori dalle scuole: per ignavia o per convenienza, si ripetono frasi fatte. Un gigantesco karaoke del senso comune.

È emblematico il risultato della Lega anche in un quartiere come Corea: qui la presenza dei migranti è pressoché nulla (i dati ufficiali parlano di circa 80 migranti e, quand’anche si trattasse di raddoppiarli, resterebbe irrisoria), eppure la marea di retorica e populismo, frutto di una propaganda alimentata dal bombardamento mediatico – che evidentemente vive essenzialmente di questo – non si arresta.

Inserire la scelta della convivenza fra i modelli strategici da adottare anche a livello locale, favorendo interazione, conoscenza e scambio fra migranti e autoctoni, dev’essere tra le nostre assolute priorità: chi non comprenda la necessità di farlo rischierà sempre più di andare in direzione dello scontro fra etnie, consolidando la leggenda dello “stato d’assedio” in cui si troppi italiani si sono convinti di vivere.

Da uno studio realizzato e pubblicato nel marzo 2015 dalla Fondazione Leone Moressa (http://www.fondazioneleonemoressa.org) la provincia di Livorno risulta la prima in Italia per precarietà sociale: qui l’integrazione sarebbe più in pericolo per via, tra l’altro, di una maggiore chiusura verso i migranti. Ci preoccupano molto il grave deficit di inclusione socio-economica, le forti differenze di reddito, i tassi di disoccupazione e di criminalità e gli scarsi investimenti pubblici a favore dell’integrazione. Il rischio di marginalizzazione è alto, tanto che, secondo vari studiosi del problema, fenomeni analoghi a quelli delle banlieue parigine non sono poi così lontani.

Il percorso che vogliamo e, credo, dobbiamo intraprendere è quello che va nella direzione di colmare le distanze e le linee di separatezza, in primo luogo culturali. Dobbiamo muoverci prima che sia troppo tardi – questa la grande capacità prefigurativa che va coltivata e nutrita – e che la Lega trovi un terreno ancora più fertile in cui seminare a far crescere i suoi semi velenosi.

Stefano Romboli – presidente Buongiorno Livorno