Il 17 aprile 2016 gli elettori di tutta Italia saranno chiamati a votare per il referendum che chiede di interrompere l’attività estrattiva nelle acque territoriali alla scadenza delle concessioni pluriennali anziché alla fine della vita utile dei giacimenti di petrolio e di gas naturale, come permesso dall’ultima legge di stabilità. Si tratta dell’unico quesito ammesso dalla Cassazione tra i sei presentati da ben dieci Consigli Regionali con maggioranze di vario colore politico.
L’oggetto della consultazione è in apparenza tecnico: per questo motivo hanno particolare buon gioco le narrazioni che intendono appellarsi alla paura che una vittoria del Sì possa far continuare o persino peggiorare l’attuale situazione di crisi economica e occupazionale del nostro Paese.
Così vediamo additare come ambientalismo antimoderno e irrazionale la proposta di abrogare una sanatoria voluta dal governo Renzi per riprendere l’eliminazione graduale delle piattaforme introdotta non da Greenpeace, ma dai governi Berlusconi IV e Monti; vediamo paventare il crollo istantaneo della produzione nazionale, con una presunta perdita di migliaia di posti di lavoro, per la chiusura da qui a undici anni di poche concessioni in declino da ormai un ventennio; vediamo favoleggiare di indipendenza energetica parlando di impianti che coprono circa l’1% dei fabbisogni nazionali di gas e di petrolio, peraltro fortemente ridotti rispetto ad un decennio fa.
Soprattutto, vediamo il fronte del No sminuire la consultazione referendaria come di scarsa importanza e impatto: smentendo così i suddetti presagi di sventura, ma anche negando l’evidenza storica dei casi in cui quesiti apparentemente marginali hanno avuto un significato politico molto forte e conseguenze a lungo termine.
Al di là dei suoi effetti pratici, dunque, l’eventuale vittoria del Sì sarebbe il segnale di un Paese che non intende più tornare indietro sul percorso, imposto dalla realtà del cambiamento climatico e ostacolato dall’inerzia della politica, per la sostituzione delle fonti energetiche fossili con quelle rinnovabili; un Paese che si rende conto di come la scusa dello sviluppo venga usata per cancellare persino i più timidi passi di questa transizione per continuare a regalare concessioni perpetue alle compagnie petrolifere, trascurando i rischi ambientali; un Paese che vuole seguire, e non soltanto ammirare da lontano, gli esempi di altre Nazioni (alcune anche con riserve di idrocarburi molto più consistenti delle nostre) che stanno lavorando da adesso per progetti a lungo termine di rivoluzione della propria economia in una direzione compatibile con l’ecosistema del nostro pianeta.
Per queste ragioni #BuongiornoLivorno invita tutti i suoi soci, elettori e simpatizzanti a votare un convinto “Sì”, e aderisce al Comitato che già raccoglie varie associazioni ambientaliste e movimenti politici e che sta organizzando eventi e presidi di informazione e sensibilizzazione in vista dell’appuntamento referendario.