Il diritto alla casa sembra porsi, negli ultimi tempi, come un diritto nuovo.
Oggi più che mai serve rimettere al centro la sua rilevanza sociale e la funzionalità al soddisfacimento dei bisogni costituzionali della persona. Da tempo si stanno, infatti, costruendo i diritti a prestazione come diritti “condizionati”, in un contesto socio – politico dove l’economico si manifesta come predominio sul giuridico e sullo stesso politico, come conseguenza del capitalismo “assoluto” e dello spirito del tempo.
Stefano Rodotà scrive: “siamo di fronte a una decostituzionalizzazione accompagnata da una ricostituzionalizzazione in termini economici, nella quale si registra una rinnovata centralità della proprietà, che determina una subordinazione dei diritti sociali a una discrezionalità politica concepita come insindacabile potere proprietario sulle risorse disponibili, e una dipendenza della persona dalle risorse proprie, necessarie per acquistare sul mercato quel che dovrebbe essere riconosciuto come diritto”.
E così, nell’ambito più generale di una carente politica legata all’edilizia residenziale pubblica, l’insoddisfacente soluzione del problema abitativo rappresenta una delle testimonianze più eloquenti di una realtà che attenta quotidianamente ai valori primari tutelati dalla Costituzione. Siamo lontani dal tempo in cui il sindaco di Firenze Giorgio La Pira – uno che la Costituzione l’aveva scritta – fu fra i primi a adempiere i doveri inderogabili menzionati anche dall’articolo 3, attraverso azioni capaci di garantire la casa a chi non l’aveva, e che lo portarono, negli anni cinquanta, perfino a ordinare la requisizione degli immobili privati, collegandosi all’art. 42 che prevede la possibilità che la proprietà possa essere espropriata per motivi di interesse generale.
Del resto anche la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948 e numerose sentenze della Corte Costituzionale, anche in tempi più recenti, affermano il diritto fondamentale della persona a una abitazione dignitosa e il dovere da parte della collettività di impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione.
Dalla fine degli anni novanta assistiamo invece a forme di liberalizzazione del mercato (si veda la legge 43 del 1998) e al tempo stesso alla fine dell’intervento finanziario statale nel settore (la riforma costituzionale del Titolo V nel 2001 trasferisce importanti compiti statali alle regioni e agli enti locali senza però un corrispondente trasferimento di risorse). Le logiche repressive e antagonistiche rispetto alle tutele di chi si trova in stato di necessità e si trova costretto a occupare, trovano forza e consolidamento con il “Piano casa Lupi” del 2014 che oltre a favorire la dismissione del patrimonio residenziale pubblico prevede anche che “chiunque occupa abusivamente un immobile non può chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo…”.
Davanti a processi irreversibili come quelli di un reale impoverimento di una fascia sempre più numerosa e “ibrida” di popolazione, che perde la casa per morosità incolpevole, Buongiorno Livorno sostiene che la necessità di garantire a tutti un’abitazione rappresenti un obiettivo prioritario e di politica sociale indispensabile. Parliamo di fasce ingenti di popolazione, non necessariamente composte solo da chi si trova in condizioni di povertà assoluta e/o senza lavoro e reddito, ma anche del fenomeno dilagante dei cosiddetti “working poor”.
Per questo dobbiamo assolutamente far partire un piano complessivo di riqualificazione urbana intervenendo sul patrimonio edilizio esistente in città, senza sprecare altro territorio, e riducendo la piaga delle “case senza persone e persone senza case”. Occorre promuovere e sviluppare un percorso con l’amministrazione comunale, le associazioni di quartiere, i movimenti, le forze sindacali e sociali su un “piano regolatore della città esistente” che si fondi sulla manutenzione, la riqualificazione e il recupero delle aree urbane, perseguendo la politica della “città sfratti zero”, opzione realistica se, alla difesa dagli sfratti ai danni dei nuclei deboli si accompagna la capacità strategica dei pensare all’incremento degli alloggi sociali. Persone o nuclei familiari aventi redditi e condizioni tali da avere diritto a una forma di sostegno pubblico non possono essere sfrattati senza la garanzia del passaggio da casa a casa. Non è più tollerabile che anche a Livorno spesso falliscano le forme di accompagnamento sociale che la legge prevede. Non raramente gli sfratti vengono eseguiti senza che venga realizzata alcuna forma di assistenza per il passaggio ad altra abitazione. Sulla base di queste disposizioni potrebbero essere implementate e previste iniziative che vanno dal differimento dello sfratto alla realizzazione di atti forti come la requisizione temporanea degli alloggi, senza certo penalizzare i piccoli proprietari e in particolare che ha bisogno di entrare nel pieno possesso della propria proprietà.
Tanti gli spazi cittadini che potrebbero essere asserviti all’emergenza casa: dalle aree demaniali (l’articolo 26 del Decreto “Sblocca Italia” prevede, per quanto riguarda gli immobili del demanio, la possibilità per i Comuni di presentare progetti di riconversione con priorità per l’Edilizia Residenziale Pubblica ai fini di destinare gli alloggi ai nuclei collocati nelle graduatorie delle case popolari) agli immobili abbandonati (a cominciare dal recupero di tutti gli alloggi di Edilizia Residenziale Pubblica), favorendo la riconversione ad uso abitativo del patrimonio pubblico in disuso, integrandolo con le nuove forme dell’abitare (cohousing, social-housing, eco-villaggi e cooperative sociali anche attraverso l’autorecupero: per quest’ultima pratica si prenda ad esempio anche la recente delibera della regione Lazio e il Regolamento dell’amministrazione condivisa dell’Associazione Labsus, che moltissimi comuni stanno adottando e che è in attesa di essere approvato anche a Livorno).
Grandi città metropolitane come Barcellona e Napoli stanno sperimentando laboratori e azioni concrete, che vanno nella direzione di contrastare la supremazia del mercato e la svendita dei diritti fondamentali. Si veda ad esempio la recente “delibera sugli spazi” della Giunta De Magistris che di fatto legalizza le occupazioni abusive di immobili del Comune, secondo la logica di “liberarli” dalla chiusura e dall’abbandono, rimettendo al centro il concetto e il valore di “uso civico” e concretizzando il paradigma dei beni comuni. Ricordiamo a tal proposito che proprio Napoli è stato il primo Comune a investire sui beni comuni attraverso un Assessorato ad hoc, la modifica del proprio statuto inserendoli fra gli interessi da tutelare e con un Osservatorio permanente costituito da professori ordinari di diritto e da Paolo Maddalena, vice presidente emerito della Corte Costituzionale. Non si tratta quindi di un covo di pericolosi sovversivi o antagonisti eppure contemplano che i beni, anche in proprietà privata, abbandonati e incapaci di assicurare la funzione sociale per cui il diritto di proprietà è riconosciuto e garantito dalla legge, possano essere restituiti alla collettività, ritenendoli beni comuni, ossia oggetto di proprietà collettiva.
Una scelta di chi, evidentemente, preferisce porsi non come controparte ma come cerniera fra le richieste che vengono dal corpo profondo della città e le risposte che le Istituzioni ai vari livelli di governo dovrebbero dare. Un ruolo politico di chi vuole aprire spazi comuni e ricostruire, dalle fondamenta, città sostenibili e solidali per imprimere una svolta anche nelle politiche abitative, guadando ai bisogni e alle necessità di chi abita il territorio.
Stefano Romboli – Direttivo Buongiorno Livorno