Rom fra memoria, rifiuti e lacrime di coccodrillo.


L’ultimo sgombero dei cittadini rumeni nei pressi di via di Levante riporta tristemente alla memoria quella notte del 10 agosto del 2007 quando Danci, Eva, Menji e Tutsa, quattro bambini dai 5 ai 12 anni, morirono bruciati, nel sonno, sotto un altro ponte in via Pian di Rota e che ricordiamo con profonda tristezza.

Nelle ultime settimane le cronache cittadine sono state dominate dalle notizie relative a quest’ultimo sgombero, che è diventato occasione per parlare anche d’altro, per lo più a sproposito.
Niente di nuovo, visto che la pratica dello sgombero viene portata avanti da sempre, da ogni amministrazione di vario credo politico. Un’azione di forza, muscolare, che in genere raccoglie ampi consensi e condivisione anche da parte della popolazione, malgrado sia inutile perché non risolve nulla. Crea solo disagio a chi la subisce, costretto a trovare nuove ospitalità e a recuperare il necessario per nuove parvenze abitative, per lo più sfruttando il numeroso materiale abbandonato dai livornesi (ad esempio dal centro di raccolta di via Cattaneo dove nel piazzale c’è di tutto e che era meta preferita di questi rom, vista la vicinanza…). E conferma quanto sia ancora lontana la costruzione di una città minimamente accogliente e in grado di garantire il diritto all’abitare per i livornesi e per i nuovi abitanti, anche considerando che qui si parla di rom che per lo più vivono nella nostra città da diversi anni, alla faccia del mito del nomadismo (i dati ufficiali ci dicono che solo un terzo di queste popolazioni in Italia lo sceglie come stile di vita e lo pratica). Molti di loro hanno cittadinanza italiana e a Livorno sono circa 130 (ma oltre la metà si è integrata e vive in alloggi residenziali).
Questa volta però lo sgombero è accompagnato da una serie di narrazioni giornalistiche che fanno sorridere, tanta è la creatività e la fantasia che l’accompagnano assieme all’uso e all’abuso di parole “tossiche” e che fanno vacillare la deontologia professionale (ci sarebbe pure la “Carta di Roma” che disciplina la corretta informazione sui temi dell’immigrazione…), facendo emergere gli stereotipi ormai consolidati (“brutti, sporchi e cattivi” e nomadi) e giocando sull’abbinamento fra l’immagine del rom e quello della spazzatura, del rifiuto.

La storia della discarica, del traffico commerciale dei rifiuti e dei conseguenti lauti guadagni che li avrebbe portati a scegliere di abbandonare il loro “lavoro” di lavavetri ai semafori, è in buona parte frutto di invenzioni e di ignoranza. E diverte il meccanismo del racconto che tende a confrontare gli indesiderati e prepotenti rom rispetto ai “nuovi” ospiti dei semafori, i circensi e gli artisti di strada ai quali è stata concessa tanta visibilità e popolarità.

Alcuni di noi, compreso chi scrive, hanno visitato questa zona e in particolare il “villaggio di cartone” allestito, visto le reali condizioni, conosciuto alcuni dei rom e possono raccontare storie diverse. Per lo più vivono stabilmente da anni a Livorno, sono quasi tutti rumeni e quindi a pieno diritto comunitari, vivono in quell’area da tempo e la discarica di rifiuti, in buona parte, c’era già. E a noi risulta che i veri motivi per cui hanno smesso di passare giornate intere – sotto il sole cocente, al freddo e alla pioggia – ai semafori sono quelli del crescente malumore e dell’ aumentata intolleranza nei loro confronti e degli interventi di dissuasione che i militari dell’esercito avrebbero fatto. Di conseguenza, molti di questi rom hanno scelto di “emigrare” nelle città d’arte vicine, cercando di raccogliere qualche moneta come mimi o artisti di strada

In conclusione, se dopo quasi dieci anni dalla tragedia di via Pian di Rota gli sgomberi rappresentano ancora l’unica risposta di una città che si definisce “civile” alla presenza di queste persone sul nostro territorio, e se la narrazione è ancora pesantemente condizionata dai pregiudizi e dagli stereotipi tradizionali, significa che l’abbiamo dimenticata e che neppure la morte di 4 bambini riduce la disumanità che mostriamo quotidianamente nei confronti di queste persone. E allora a poco serve portare i fiori in un cimitero e mai come in questa occasione le lacrime versate sono di coccodrillo.

Stefano Romboli – Direttivo Buongiorno Livorno