Archivi e utilità pubblica


Si legge in questi giorni, nei quotidiani locali, la notizia di nuove assunzioni per il riordino di archivi nell’ambito dei lavori di pubblica utilità. Una preziosa occasione per chi ne ha bisogno. Tutti ne sono convinti, tranne, forse, la categoria dei professionisti: gli archivisti.

Non sono passati neanche due mesi dal giorno in cui 1300 persone si sono presentate al concorso nazionale indetto dal MIBACT per la selezione di 95 archivisti in tutta Italia – 14 in Toscana – (studiando circa 5000 domande assurde proposte dal Ministero) e di cui ne sono stati selezionati 480 che ancora stanno aspettando di partecipare alla prima prova.
Le mansioni che i 95 idonei dovranno poi effettuare come dipendenti statali sono essenzialmente quelle di riordino, inventariazione e scarto di archivi di enti pubblici. Le stesse disposte per il bando proposto dal progetto regionale Pulcr Lav di cui il Comune di Livorno ne è capofila, bando rivolto a persone con licenza elementare o scuola dell’obbligo.

Se è vero che il DM 26 marzo 2001 indica all’art. 1 i lavori di pubblica utilità come “prestazioni di lavoro per finalità di tutela del patrimonio ambientale e culturale” è altrettanto vero che il Codice dei beni culturali riserva tali attività a personale qualificato (legge n. 110/2014).
Certo è difficile pensare che un archivio di pratiche edilizie del 1990 sia un bene culturale, ma tant’è (dlgs n. 42/2004 art. 2 co. 2), visto che l’archivio, per definizione, è un bene culturale fin dalla sua formazione (dpcm 2014 art 36 c. 2 lettera c).
Ci si chiede come sia possibile emanare un bando che non tenga conto della legge Italiana; ci si chiede, anche, come sia possibile che lo stesso identico tipo di lavoro di digitalizzazione, nel 2013, fosse stato affidato ad una società di professionisti, la SPACE s.p.a. (det. n. 3868 del 19/12/2012), che vinse una gara d’appalto indetta nel 2011 (CIG 0847458077) in cui si richiedeva una “Documentazione atta a dimostrare la competenza tecnica e l’esperienza professionale del personale che sarà utilizzato per l’espletamento del servizio” (punto B.1).
È strano come, dopo soli quattro anni, questa comprovata competenza non sia minimamente indicata e l’Amministrazione, e tanto meno la Regione, non si sia posta nessun dubbio in merito.

E se si chiudono gli occhi difronte alla legislazione italiana, proviamo ad aprirli davanti alla dignità dei professionisti, cittadini decisi a lavorare nel settore per cui hanno studiato e in cui hanno lavorato in condizioni sempre peggiori.
La società è ancora convinta che il lavoro di operatore culturale possa essere svolto da chiunque ne abbia intenzione, anche in funzione di volontario, perché tanto non crollano ponti e non muoiono pazienti, ma, in questo caso, si maneggia un bene collettivo, un bene di proprietà dei cittadini, gli stessi che al momento di una richiesta di accesso agli atti devono attendere almeno un mese prima di riuscire a consultarli.

La tutela e valorizzazione del settore culturale è sempre al centro di tutte le campagne di propaganda, fino a quando, una volta passate le elezioni, viene dimenticata.

Michela Molitierno
Direttivo #BuongiornoLivorno