“I traffici aumenteranno un po’ più del PIL”. Esordì così l’esponente di Modimar in occasione della discussione consiliare sulle opportunità di realizzazione della Darsena Europa: approssimazione grave che ha distorto completamente la possibilità di fare un’analisi costi-benefici che rendesse davvero praticabile un rilancio del porto di Livorno.
Un porto fortunatamente multifunzionale, con fondali sabbiosi che ne rendono sì difficoltoso il raggiungimento di elevate profondità, ma sul quale si potrebbe lavorare con intelligenza per renderlo funzionale al mutamento dei traffici e alle nuove esigenze come negli ultimi anni la crocieristica ha dimostrato.
La previsione della Darsena Europa è stato il motivo fondante del nuovo Piano Portuale, avviato nel 2004 e approvato nel 2015, presentato come una svolta epocale dai massimi organi portuali e regionali, rispetto ad un’inerzia, considerata tutta locale. Piano portuale che, sul piano del metodo, ha finito per essere una cornice, in cui il dimensionamento della mega infrastruttura è rimasto svincolato dal contesto reale, sia del porto esistente, che del cosiddetto hinterland portuale connesso alla catena logistica, pur condizionando le sorti del porto nel suo complesso. Una scelta precisa quindi da parte dell’Autorità Portuale: la Darsena Europa come unica soluzione per una possibile riorganizzazione del porto odierno.
Per questo l’ipotesi della cosiddetta Darsena Light o Darsena 0,5 era stata subito da noi presa come riferimento più concreto di fattibilità, dal momento che avrebbe consentito un consumo del territorio più razionale, meno gravoso per la gestione di un quantitativo minore di fanghi e non avrebbe creato interruzioni sul lavoro portuale. Ciò avrebbe aperto interessanti alternative, percorribili a breve termine, per l’ottimizzazione degli spazi portuali, in modo più flessibile, garantendone la multifunzionalità. Inoltre sarebbero occorsi finanziamenti notevolmente inferiori per arrivare alla soddisfazione dei reali potenziali traffici.
Oggi sappiamo bene che sbagliare le previsioni è la prima causa dell’immobilismo poiché la Banca Europea per gli Investimenti e altri soggetti istituzionali non erogano se il socio privato nel project financing non si fa vivo, proprio come sta accadendo.
La decisione di utilizzare il project financing è stata presentata dall’AP come la più adatta e vantaggiosa per un’opera del genere, che avrà un costo di di costruzione di 668 milioni, di questi più della metà, 540, deriveranno da risorse pubbliche, e un costo complessivo di 866,5 milioni.
In realtà le modalità previste per la prima fase sono due, l’appalto pubblico per 362 milioni e il project financing. Questo vale un totale di 504 milioni, di cui 306 milioni di opere — 178 pubblici e 128 a carico del privato, cui si aggiungono le spese di progettazione, 13,5 milioni e l’allestimento del terminal contenitori per 185 milioni.
Nella complessità finanziaria dell’operazione sarà importante comprendere il livello di attrattività per il privato, in relazione alla concessione per 50 anni, che dovrebbe consentire il recupero dell’investimento e quali sono le criticità e la rimodulazione dell’intervento pubblico a supporto. I finanziamenti pubblici previsti da AP — 280 milioni, e dal Cipe — 50 milioni, si sommano a quelli della Regione Toscana che inizialmente aveva garantito 170 milioni per i lavori al porto di Livorno, in base alla legge finanziaria 2015; impegno poi modificato con la previsione di un contributo che copre gli oneri di ammortamento dei finanziamenti dell’AP fino ad un massimo di 12,5 mil/anno dal 2016 al 2035. Quindi gli immobilismi sono propri di coloro che hanno identificato falsi presupposti per lo sviluppo infrastrutturale, considerato come unico motore di investimenti.
I nostri politici di governo sarebbero pessimi consulenti nei settori privati e si trovano oggi paradossalmente nel ruolo di attrazione del privato, con risultati devastanti.
C’è qualcosa di profondamente viziato in tutte queste storie: è la mancanza nella classe politica che ci governa di una visione di insieme dello sviluppo che noi preferiamo chiamare emancipazione e l’ignoranza del funzionamento del piano concorrente con quello reale, cioè quello dei mercati finanziari.
Tavolo Economia #BuongiornoLivorno