Riceviamo e pubblichiamo con piacere questa lettera:
Stimolato dalla lettura e dalle questioni cittadine mai risolte che giacciono irrisolte sul tappeto politico-amministrativo-economico degli amministratori locali che si stanno succedendo alla guida della città senza porre in essere alcuna soluzione efficace, ho deciso di iscrivermi di nuovo a BL e porto in dote questa riflessione:
Boia dé, buongiorno Livorno
In riferimento all’intervento comparso sul Tirreno di Mercoledì 17 Maggio e avente per titolo: ”Buongiorno senza opporsi” vorrei capovolgere l’ottica interpretativa dei fatti.
Quando si parla di democrazia liberale c’è sempre qualcuno che propone la magica frase: ”con tutti i suoi difetti la liberal-democrazia è il miglior sistema possibile che abbiamo a disposizione…”. In questo modo si celano difetti dati per certi anche da chi sposa tale sistema, senza però metterli a fuoco, e abbandonandosi all’amor fati quasi come se l’uomo non fosse più capace di scrivere la sua storia attraverso le sue azioni, ma vediamo di quali difetti si parla:
1° la liberal-democrazia è un sistema i cui contrappesi sono solo di figura, tant’è che il nostro sistema giuridico condivide le logiche di mercato e dello sfruttamento fondate sulla asimmetria e disparità economica. Disuguaglianze economiche fonte di altre disuguaglianze: culturali, sanitarie, civili… Non bastano a fare giustizia a dare uguaglianza e libertà concrete ai cittadini deboli le sole dichiarazioni di principio tutta forma e niente sostanza delle carte costituzionali, che lasciano inalterati i criteri di un sistema economico basato sullo sfruttamento globale e sulla polarizzazione della ricchezza in mano di pochi. Il tutto legalizzato da un impianto legislativo che difende soltanto chi già detiene il potere economico ed ha le ricchezze necessarie per imporsi come classe egemone e dominante, in tutti i settori compreso il tempo libero. Possiamo affermare che la proprietà e la ricchezza sono ben tutelate, ma non certamente il lavoro che pur richiamato della nostra costituzione è maltrattato e in via di estinzione. Tant’è che oggi si potrebbe dire che la nostra è una costituzione fondata più sulle pensioni che sul lavoro;
2° la nostra bella repubblica antifascista il 22.06.1946 per il tramite dell’allora guardasigilli evitò la meritata galera ai torturatori fascisti, come pure non ebbe la forza di liberarsi della morsa del concordato votando l’art.7 della costituzione nel 1947, come non ebbe la forza di dare corpo a forme di governo del territorio partecipative, come non volle riformare buona parte degli apparati e delle strutture di controllo e di potere disciplinari del vecchio regime fascista scuola compresa. In pratica non ci fu una rottura fra il vecchio e nuovo sistema, ma semmai una continuità e ciò con la benedizione dei centurioni americani che con le loro belle e potenti basi occupavano il nostro territorio, segno questo della ritrovata libertà di un paese a che da li in poi sarebbe sempre stato mercé della sovranità limitata o meglio vigilata;
3° Le leggi costituzionali non sono qualcosa di eterno, che non si possano mai cambiare in meglio, pena il pericolo di una involuzione del paese in chiave totalitaria. Il capitale quando deve difendere i suoi interessi non si è mai curato né delle carte costituzionali, né tanto meno delle forme di governo, basti ricordare come è avvenuto l’avvento del fascismo in Italia e il suo colpo di stato del 3.01.1925, eseguito con l’appoggio del capitale e della borghesia di allora che finanziava le squadracce fasciste tollerate dal re e dal governo e con fortissime complicità dei prefetti e di tutte le forze dell’ordine;
4° Per quanto invece riguarda il concetto di populismo occorre rilevare alcuni punti di tangenza con la sovranità popolare richiamata nelle carte costituzionali. In entrambi sta al centro l’idea di un popolo depositario di valori positivi che vuole avere il potere di governare e di poter controllare il mandato dei propri rappresentanti. Oggi invece facciamo i conti con una democrazia malata e di facciata, in cui la rappresentanza popolare è violata da leggi OGM di bioingegneria politica che fanno governare minoranze per merito di artefatti premi di maggioranza, sostituendo il criterio della proporzionalità con quello di una strumentale governabilità. L’ideologia non è una bestemmia, è la valorizzazione del “Villano Livornese” non è fatta a scopo di lucro in funzione strumentale di un non meglio precisato ritorno elettorale, ma semmai per tentare di ridemocratizzare la democrazia e rimettere al centro delle questioni politiche l’uomo comune, gli emarginati e i loro problemi reali. L’uomo agisce in base a quello che ha nella testa. Questo lo sanno bene le classi dominanti e dirigenti. Tant’è che oggi la loro egemonia domina il pianeta per mezzo della loro ideologia liberal-individualista. Tutto l’apparato di dominio è ideologia, è potere, potere che entra violando corpi e menti e controlla le istituzioni. Ciò è il prezzo pagato dal popolo per l’assenza di una salda trincea ideologica, ovvero di un complesso di idee e principi di classe antagonista alla classe dominante ed egemone, che sia in grado di opporsi con forza e determinazione all’avanzata del pensiero unico e integrale del capitale-finanziario globale. Oggi più che mai ci occorre un ideologia collettiva che sia in grado di organizzare la fasce più deboli ed emarginate, che sia in grado di tracciare un orizzonte chiaro di giustizia sociale, di uguaglianze concrete, di equità di reddito, di un nuovo modello di economia e di una nuova forma di governo collettivo su base partecipativa, superando lo schema pseudo-democratico dei rappresentanti di partito e delle assemblee elettive, le quali non sono sottoposte al controllo popolare e i cui partecipanti non sono scelti dal popolo sovrano, ma da élite di burocrati di partito composte da politici di professione con tanto di ricco vitalizio, che non sentono, non vivono, non capiscono e non testimoniano i bisogni della gente comune. Questi sono I veri villani! Non sono certamente quelli che danno attenzione, dignità e voce ai “villani Livornesi”, i quali esprimono in linguaggio verace popolaresco arricchito di sana gestualità labronica tutto il loro disgusto e la loro rabbia nel loro senso comune di gente comune alle prese con la durezza della vita comune.
Un Villano Livornese
V. Baggiani