Ospitiamo anche sul nostro sito l’intervento che Tommaso Tocchini per l’OTU Livorno ha presentato in occasione dell’incontro pubblico di martedì 13 dicembre per la 37ª Giornata dei Diritti del Malato, promossa dal Tribunale dei Diritti del Malato Cittadinanzattiva
L’Osservatorio delle Trasformazioni Urbane (OTU) è un gruppo aperto, di condivisione, che monitora la città per rilevare le problematiche che la affliggono e propone spunti di riflessione sulla scorta dell’esperienza maturata dai componenti il gruppo di continuità, di cui faccio parte, avanzando ipotesi e cercando di fornire contributi per il loro superamento. Tra le molte questioni urbanistiche che vengono ritenute critiche e di primaria importanza per chi abita a Livorno vi sono: l’emergenza abitativa, la previsione dello spostamento dell’ospedale, il piano del porto, lo spostamento del depuratore, e l’Urban Center. Questi temi, è evidente, hanno forti legami con la missione di questa associazione e con il tema del convegno.
Il tema che mi è stato assegnato è vasto ed impegnativo, ma può servire, pur partendo da considerazioni di ordine generale, ad evidenziare quanto il disagio delle persone sia spesso conseguenza di situazioni riconducibili al sistema complesso città/territorio e del suo governo.
Osservando la città e il territorio, ci troviamo di fronte a due soggetti malati, di cui dovremmo esigere la cura, come la pretendiamo per le persone, perché oltretutto sappiamo che le cause delle malattie di quest’ultime e gli ostacoli alla loro cura nascono principalmente dalle condizioni dell’ambiente.
La sintomatologia più evidente di questi mali è legata, in sostanza, a tutte le declinazioni dell’inquinamento dovuto all’urbanizzazione ed all’antropizzazione delle aree naturali, ma vorrei invece tentare una strada interpretativa che mi porti più vicino alla persona come soggetto sociale.
Per prima cosa dovremmo fare un esame profondo della situazione, affinare la percezione della realtà in cui viviamo senza indulgere alla propria capacità di adattamento, alla giustificazione, o al fatalismo; non l’abbiamo fatto, colpevolmente, in passato quando c’era una visione più ottimistica del futuro e delle prospettive di sviluppo, condizione in cui sarebbe stato meno fastidioso un sacrificio personale a fronte di un beneficio collettivo, non ne siamo stati capaci ed ora con la crisi economica ( e non solo economica ) si è creata una situazione intollerabile specialmente per le categorie più disagiate e fragili, che ci pone di fronte a scelte difficili perché si sono palesate le contraddizioni sulle quali poggiava il tipo di sviluppo che abbiamo seguito per decenni, trovandoci di fronte ad un’ambiente malato per alcuni aspetti in maniera irreversibile.
È necessario smuovere noi cittadini dall’attitudine ad occuparci del proprio cortile ed alla tendenza alla rassegnazione e alla delega sulle questioni riguardanti l’intera città ed il suo futuro, atteggiamento che porta all’ assuefazione al declino, a digerire tutto, fino ad arrivare a non accorgersi più dei fenomeni che lentamente erodono la qualità dell’ambiente, quindi la qualità della propria vita.
Se servisse un esempio, non ce n’è uno più esplicito della situazione di Taranto.
È urgente procedere alla cura, dopo la diagnosi dei mali strutturali e gestionali, che in estrema sintesi sono da ricercare:
– in uno sviluppo edilizio irrazionale,
– nel mancato adeguamento infrastrutturale alle nuove esigenze industriali e di mobilità,
– nella mancata attenzione al territorio naturale ed alle aree fragili. (non solo per mancanza di manutenzione, ma anche di rispetto delle prerogative geomorfologiche e naturalistiche )
Ognuno di questi tre aspetti critici può essere meglio esplicitato con alcune delle conseguenze più rilevanti:
– l’espansione della città costruita e lo svuotamento e degrado delle zone centrali a causa di una congiunzione tra una visione economica arretrata e speculativa e l’esigenza di reperimento di risorse dei Comuni.
– Il sovraccarico delle reti viarie per il ricorso al trasporto commerciale su gomma piuttosto che allo sviluppo di reti alternative, e l’incremento del trasporto privato a scapito del trasporto pubblico;
– L’aumento dei dissesti ambientali, come smottamenti, alluvioni, incendi, per la ridotta tenuta agli eventi meteorologici inconsueti, l’ inquinamento dei terreni, delle falde acquifere, del mare.
Il risultato di tutto questo è un’ambiente cittadino e territoriale disorganico, più inquinato, nocivo e pericoloso.
Le statistiche possono fornire i numeri relativi alle patologie, agli incidenti, alle calamità, io mi limito a fare una considerazione riguardante l’influenza che la situazione strutturale può avere sul comportamento e talvolta sul carattere dei cittadini e conseguentemente sulla salute e tenuta sociale: quella del fenomeno generato dalla FISIONOMIA stessa dell’ambiente urbano e territoriale, che le persone più sensibili possono cogliere, ma che anche gli indifferenti subiscono inconsapevolmente. Con fisionomia intendo non solo l’aspetto epidermico, ma anche organico, della composizione edilizia ed infrastrutturale, come del tessuto naturale e di come tutto ciò si pone funzionalmente alla presenza umana. Mi limito a citare qualche situazione esemplare:
– l’abbandono delle aree urbane centrali ha generato il fenomeno di trasformazione e frazionamento interno degli immobili riducendo fortemente la qualità e la diversificazione abitativa, limitandone così l’accesso alle sole categorie più disagiate e nuove comunità; nello stesso tempo il commercio e le attività diffuse, tipiche di questi ambiti, si è dileguato lasciando vuoti spesso trasformati in alloggi di fortuna, così privando il tessuto di questi quartieri di punti di relazione e creando zone fortemente caratterizzate, se non veri e propri ghetti, che limitano i processi di integrazione e di convivenza sociale che hanno sempre contraddistinto le zone storiche delle città.
– Lo stato di abbandono di spazi pubblici e di strutture nel degrado, è arrivato a rappresentare per molti la normalità, ha fatto abbassare il livello della percezione delle negatività, ha ridotto il rispetto reciproco e dei beni comuni, in sostanza ha favorito il distacco delle persone dal senso di appartenenza ad una comunità, con il rischio di retrocedere ad un grado di socializzazione pre-urbano. Si possono rilevare ad ogni passo ed in ogni luogo gli esiti di comportamenti scorretti che limitano la sicurezza e l’igiene, l’accessibilità, la percorribilità pedonale, danneggiano l’immagine complessiva dell’ambiente quindi creano un generale senso di disagio e di potenziale conflittualità.
Una terapia opportuna per sanare la situazione ed invertire la tendenza al decadimento delle città, alla propensione delle persone a rinchiudersi in se stesse, in ambiti di relazione immateriale, potrebbe essere indirizzare tutte le risorse al recupero della qualità dei luoghi, e del territorio, creare opportunità ed occasioni di incontro, stimolare con la compresenza fisica il confronto, la capacità di critica, la coscienza politica nel suo senso più elevato.
il problema va quindi affrontato da due versanti opposti; da una parte con una seria politica urbanistica e di interventi strutturali, dall’altra con una opportuna azione di istruzione e sensibilizzazione e ponendo al centro uno spazio di relazione che renda consapevoli i cittadini e responsabili le amministrazioni: in estrema sintesi con una reale conoscenza dei problemi, con l’informazione e la partecipazione.
L’urbanistica, che potrebbe sembrare una disciplina lontana dai fenomeni cui ho superficialmente accennato, e che a molti, anche persone del settore, appare obsoleta, è invece l’unica disciplina capace di garantire un’analisi complessiva del territorio e rendere organica una strategia di sviluppo o trasformazione. Del resto, di che si occupa se non dei luoghi e le strutture per abitare, lavorare, spostarsi e dell’ambiente per vivere nella maniera più sana?
I problemi dell’urbanistica sono pertanto:
– il suo mantenimento entro un campo specialistico, incomprensibile alla cittadinanza che ne subisce solo gli effetti,
– la difficoltà del passaggio dalla sua forma teorica alla pratica della pianificazione e della successiva gestione, ancor più evidente oggi per il moltiplicarsi delle variabili e delle dinamiche alla quale è soggetta.
La storia recente dimostra infatti il sistematico tradimento dei Piani regolatori nella fase di attuazione e che l’interesse prioritario è stato, per decenni, quello di costruire a prescindere dagli obiettivi dichiarati, tradendo il senso compiuto della pianificazione, dove ogni parte dovrebbe sostenere l’altra, a grande scala come a piccola scala, fino ai singoli progetti.
Per superare questi ostacoli al buon governo della città e del territorio le Amministrazioni devono ritrovare nel dialogo costruttivo con la cittadinanza il sostegno per opporsi alle dinamiche distorsive della pianificazione che condizionano prima la sua elaborazione e dopo ed ancor di più la sua attuazione.
L’OTU da anni sollecita le Amministrazioni che si sono succedute alla guida della città alla creazione di un LUOGO, sia esso una struttura centrale o territoriale in rete, dove si possa esercitare una vera democrazia urbana attraverso la diffusione ed utilizzo di risorse conoscitive disponibili; quindi partire dall’educazione come momento di divulgazione, informazione e formazione per proseguire nella mobilitazione e nel dialogo dei soggetti coinvolti nel processo decisionale. L’Amministrazione potrà così legittimarsi come soggetto neutrale e promuovere processi capaci di smuovere le coscienze e conoscenze e quindi capacità progettuali attraverso gli orientamenti la definizione dei problemi e delle possibili soluzioni.
L’Amministrazione avrà così a disposizione risultati di una performance collettiva inclusiva, alla quale ognuno possa partecipare come soggetto attivo, dove possa attingere informazioni e conoscenza per poi sentirsi legittimato come interlocutore sia che risulti destinatario che testimone o fonte delle istanze: perché possa sentirsi almeno in parte artefice del proprio futuro.
Tommaso Tocchini
Livorno, dicembre 2017