Il dibattito sul futuro del territorio e della sinistra a Livorno si mostra pigro, sonnacchioso e scolastico. I recenti interventi sulla stampa locale di Ciampini e Raspanti, dopo Bellandi, non sfuggono a questo schema. L’uso tremulo del lessico del disagio da alleviare, o della start-up da coltivare, che sono caratteristiche identitarie della sinistra del centrosinistra livornese, tanto più abbondano tanto meno sono efficaci. Anche guardando all’assemblea nazionale del Pd si vede più materia per le trasmissioni di Zoro che innovazione politica. Del resto lo stesso nuovo segretario del PD Martina ha avvertito, nel discorso seguito alla nomina, che il processo di evoluzione del suo partito, e quindi del centrosinistra, sarà lungo e accidentato. E, vale la pena di aggiungere, non scontato negli esiti.
Lo stesso uso del termine “comunità” per definire Livorno, o alcuni aspetti del tessuto sociale livornese, è una presa in prestito di espressioni della politica angloamericana che non trovano, invece, riscontro nella realtà delle nostre parti. Livorno è, piuttosto che una comunità, un territorio debolmente amministrato, demograficamente in declino, stratificato socialmente con la prevalenza di aggregazioni neo-tribali diffidenti e conflittuali tra loro, con un crescente gap cognitivo, di saperi rispetto al paese. Si tratta del riflesso sociale di un processo che vede l’economia che si ritira da quasi tutto il territorio, salvo punte di eccellenza, o l’enclave della portualità (che sta vivendo nuove profonde ristrutturazioni). Per qualche migliaio di giovani ciò significa che non troverà mai, se si seguono le regole dell’economia odierna e a venire, una stabile collocazione né a Livorno né altrove.
Del resto se la Caritas livornese rileva di aver avuto, recentemente, il 54,7% di contatti in più rispetto al 2014 con gli italiani che, sul totale degli accessi, sono cresciuti del 40,3%, il dato non va letto come emergenza ma nella sua evoluzione prospettica. Certo, la contrazione dei finanziamenti ai territori, meno 40 per cento dal governo Monti, e quella, in prospettiva storica, del bilancio comunale non fanno ben sperare. E anche gli investimenti privati, dalla coesione sociale all’innovazione, non colmano il gap economico, sociale e cognitivo che Livorno ha rispetto al mondo che lo riguarda.
Vediamo quindi di individuare le leve sulle quali il territorio può poggiare per risalire la china del declino che sarà seriamente difficile da scalare. Le leve non possono che prefigurare uno stato d’eccezione sia politico che amministrativo.

Livorno, per cominciare a risollevarsi deve affrontare tre emergenze: attrazione risorse economiche e finanziarie, attrazione tecnologica e attrazione di risorse umane.
Un modello di sviluppo chiaro, non semplice somma di differenti immaginazioni sociologiche, deve essere la bussola di questi processi di attrazione. Processi che possono solo avviarsi tramite l’economia portuale, sia nelle vocazioni tradizionali che nei processi di innovazione tecnologica, l’economia del mare, il turismo de-stagionalizzato, l’economia dell’intrattenimento. In questo modo si compone una economia post-industriale che non è solo un’economia di servizi (la dimensione post) ma anche di innovazione legata all’industria che rimane (portuale e non solo).
Tutto questo risolve, nel giro di una legislatura, tutti i drammi e i pericoli preparati dal disfacimento del precedente modello di sviluppo? No. Pone però le condizioni per uscirne implementando il modello di sviluppo. Tutto questo è possibile seguendo le linee della politica nazionale? No, perché l’autonomia degli enti locali è stata azzerata dagli stessi governi di centrosinistra, e lo sarà anche con il governo giallo-verde. Perché la dinamica di contrazione della spesa in periferia, che viene dalle linee guida dell’ “Europa”, mortifica le economie locali a favore delle grandi economie di scala.
Livorno deve ragionare in termini che, in modo sprezzante, vengono definiti “dirigisti”. Infatti i liberisti, che sono in gran numero nel centrosinistra ma anche nei giallo-verdi, privilegiano il laissez-faire del mercato. L’ottica municipalista usa invece le leggi esistenti per forzarle produttivamente per costituire:
- Un vero e proprio ministero economico della città, che accorpi competenze di ogni genere per indirizzare quel modello di sviluppo e faccia politica di attrazione risorse, risorse umane e talenti.
- Un vero e proprio ministero degli esteri della città perché le risorse, e le sinergie, vanno fatte con con i migliori porti, le migliori aree urbane d’Europa, i migliori centri di ricerca. Municipalismo è sprovincializzare un territorio, renderlo europeo nella ricerca delle risorse.
- Un vero e proprio ministero del lavoro che serva per superare i residui della vecchia concertazione sindacale e trasformi.
- Una politica del welfare che sappia governare e usare tutte le risorse della città comprese quelle informali in questo settore.
- Una politica finanziaria che sappia individuare trattare con gli istituti bancari e finanziari presenti sul territorio, indicando le possibilità di investimento nel modello di sviluppo che si prefigura.
- Una politica ambientale in grado di prefigurare l’uscita dalle serie criticità storiche in questo settore
- Una rottura del patto di stabilità che non sia né simbolica né scriteriata in modo da generare risorse e una contrattazione dei livelli di autonomia locale dal governo centrale nazionale e regionale.

È logico che c’è bisogno di forza per governare questi processi. Non equilibri politici instabili, formule buone per la stampa ma mai per la realtà. C’è bisogno non tanto di amministrare ma di vincere le elezioni per mobilitare un territorio, cosa che i 5 stelle non hanno saputo fare. Ed è solo mobilitando il territorio che si pongono le condizioni per salvarlo. E solo mobilitandolo, in forme nuove ma in una logica di coesione sociale, è possibile arginare la ricerca del capro espiatorio, fatto di extracomunitari, che ormai abita dalle nostre parti. Il capro espiatorio dà la risposta simbolica ad una esigenza di ordine sociale, che invece deve essere affrontata mobilitando il territorio su obiettivi precisi.
Una legislatura di amministrazioni che applicano la legge, senza fare politica, è solo un ulteriore passo verso la definitiva disgregazione di Livorno.
Un assetto municipalista, autonomo dallo stato centrale, è invece una garanzia di tenuta sociale del territorio nella crisi. Si guardi al ruolo positivo tenuto dalla municipalità di Barcellona nella grave crisi istituzionale ispano-catalana dell’autunno scorso. E il nostro paese, in questo senso, ha di fronte frizioni interne ed esterne.
Dalla sua nascita Buongiorno Livorno ha sempre posto alla città un punto fermo: di fronte a uno stato di eccezione, si necessita di cambiamenti radicali.
Silvano Cacciari, Gruppo Comunicazione BL