In queste giornate frenetiche di emergenza spesso sentiamo parlare di servizi essenziali e di pubblica utilità, ai quali vengono applicate anche in questa circostanza norme speciali rispetto a quelle applicate ad altri settori economici.
L’art. 2 comma 1 lettera a) del DPCM 8 marzo prevede, ad esempio, la sospensione immediata di tutte le riunioni, i meeting, gli eventi sociali che possano coinvolgere il personale sanitario e il personale incaricato dello svolgimento di servizi pubblici essenziali o di pubblica utilità.
Il Governo cerca così di tutelare le proprie risorse, per non rischiare di bloccare il sistema sanitario né i servizi pubblici essenziali a causa di contagi e quarantene.
Il DL 14/2020 del 9 marzo, invece, afferma che agli stessi lavoratori non si applica la quarantena a meno che non ci siano sintomi evidenti o tampone positivo: qui il Governo prende atto della scarsità del proprio organico e costringe i lavoratori appartenenti a queste categorie a continuare a lavorare nonostante situazioni di contatto stretto avuto con soggetti infetti.
Queste due disposizioni racchiudono la schizofrenia che ha caratterizzato negli ultimi 30 anni la disciplina del settore dei servizi pubblici essenziali e di pubblica utilità: da una parte, con la Legge 146 del 1990 si è espressa la necessità di regolamentare l’esercizio del diritto di sciopero nei pubblici servizi in relazione ai lavoratori subordinati, estendendola con la legge n. 83/2000 anche alle astensioni collettive dal lavoro dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori la cui attività fosse comunque connessa all’erogazione di servizi pubblici essenziali, giustificando la limitazione del diritto di sciopero costituzionalmente garantito (art. 40 della Costituzione) con il contemperamento del diritto degli Utenti di vedere garantito il servizio essenziale.
Dall’altra non si è garantito un corretto turn over del personale, ridotto in modo feroce nell’ultimo decennio, né gli investimenti sufficienti per consentire il corretto funzionamento e le prestazioni minime previste.
Ed è proprio la Legge 146/1990 che ci aiuta a definire cosa siano i servizi pubblici essenziali: sono quei servizi volti a garantire il godimento dei diritti della persona, costituzionalmente tutelati, alla vita, alla salute, alla libertà ed alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione ed alla libertà di comunicazione.
Quindi, come specifica l’art. 1 della suddetta legge:
a) per quanto concerne la tutela della vita, della salute, della libertà e della sicurezza della persona, dell’ambiente e del patrimonio storico-artistico: la sanità; l’igiene pubblica; la protezione civile; la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani e di quelli speciali, tossici e nocivi; le dogane, limitatamente al controllo su animali e su merci deperibili; l’approvvigionamento di energie, prodotti energetici, risorse naturali e beni di prima necessità, nonché la gestione e la manutenzione dei relativi impianti, limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi; l’amministrazione della giustizia, con particolare riferimento a provvedimenti restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti, nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione; i servizi di protezione ambientale e di vigilanza sui beni culturali;
b) per quanto concerne la tutela della libertà di circolazione: i trasporti pubblici urbani ed extraurbani autoferrotranviari, ferroviari, aerei, aeroportuali e quelli marittimi limitatamente al collegamento con le isole;
c) per quanto concerne l’assistenza e la previdenza sociale, nonché gli emolumenti retributivi o comunque quanto economicamente necessario al soddisfacimento delle necessità della vita attinenti a diritti della persona costituzionalmente garantiti: i servizi di erogazione dei relativi importi anche effettuati a mezzo del servizio bancario;
d) per quanto riguarda l’istruzione: l’istruzione pubblica, con particolare riferimento all’esigenza di assicurare la continuità dei servizi degli asili nido, delle scuole materne e delle scuole elementari, nonché lo svolgimento degli scrutini finali e degli esami, e l’istruzione universitaria, con particolare riferimento agli esami conclusivi dei cicli di istruzione;
e) per quanto riguarda la libertà di comunicazione: le poste, le telecomunicazioni e l’informazione radiotelevisiva pubblica.
All’interno di queste definizioni è necessario individuare quali siano le prestazioni essenziali, irrinunciabili a cose normali in fase di sciopero e adesso per definire fino a dove si possono ridurre le attività a causa dell’emergenza.
Ad esempio, una società che svolge il servizio di igiene urbana quale AAMPS s.p.a., potrà limitare le proprie attività alla garanzia della continuità operativa degli impianti di trattamento e ai servizi erogati all’utenza, con particolare riguardo alle strutture sensibili (ospedale, rsa, penitenziari, etc).
La raccolta deve essere garantita in relazione al rifiuto indifferenziato, organico e residuo, mentre le altre raccolte (vetro, multimateriale, carta) potrebbero essere ridotte o addirittura sospese.
Ma la schizofrenia sopra descritta e che viviamo tutti i giorni ovviamente in periodo emergenziale emerge con tutta la propria violenza.
Molte aziende di servizio pubblico continuano a svolgere tutta la propria attività, non limitandosi ai servizi essenziali.
Ricordiamoci che molti di questi servizi sono affidati, per scelta politica di coloro che in questi decenni hanno sostenuto il modello della privatizzazione del servizio pubblico, in concessione a società quotate in borsa che non possono fermarsi, che non possono non realizzare i propri obiettivi economici.
Di fatto in questo modo non si diradano i turni, non si svuotano gli spogliatoi, non si limitano i contatti: i lavoratori, soprattutto gli operativi, sono obbligati a lavorare come se il virus non esistesse.
Le aziende pubbliche spesso non sono pronte ad attivare lo smart working, e anche dove lo fossero ritardano colpevolmente l’adozione della modalità di lavoro più sicuro, con l’anacronistico timore di una riduzione di produttività.
Ci si muove in ritardo per approvvigionare i dispositivi di sicurezza e fornire nuove procedure operative che salvaguardino l’attività di operai e impiegati, perché le privatizzazioni alla fine non hanno portato a sburocratizzare, efficientare, velocizzare, non almeno quanto ci siamo raccontati.
Le aziende ritardano nel revisionare i DVR (Documento della Valutazione del Rischio) e attuare misure di prevenzione e protezione adatte alla situazione.
È evidente come, in questa situazione così particolare di emergenza assoluta emerga senza alcun dubbio quanto la nostra vita si basi sull’attività di alcune categorie di lavoratori che spesso, a cose normali, sono poco rispettati, spesso bistrattati, male retribuiti: i lavoratori addetti ai servizi pubblici essenziali e di pubblica utilità.
Ed è così che insegnanti, medici, infermieri, personale ATA, autisti del trasporto pubblico, vigili del fuoco, forze di polizia, addetti al servizio di igiene, ai servizi di distribuzione di gas, acqua ed elettricità, addetti alla protezione civile, dipendenti delle Autorità Portuali, addetti alla logistica, i bancari, gli addetti alle poste, gli edicolanti, i ferrovieri, diventano in modo evidente indispensabili cardini della nostra vita.
Ma non solo loro: anche tutti quei lavoratori somministrati, autonomi, liberi professionisti e in appalto che lavorano per le aziende del servizio pubblico essenziale e di pubblica utilità.
Non si possono fermare, e se lo fanno salta completamente la nostra quotidianità, la tutela della nostra salute e sicurezza, la salvaguardia di nostri diritti fondamentali e in alcuni casi la nostra sopravvivenza.
Auspichiamo che questa consapevolezza resti anche dopo, quando l’emergenza sarà finita.
Speriamo che tutti riconoscano il valore del lavoro di questi lavoratori e lavoratrici, del loro ruolo e della necessità di tutelarlo.
Speriamo che tutti comprendano quanto sia fondamentale investire in questi settori, garantendone crescita ed evoluzione.
Noi vogliamo un ripensamento, una presa di coscienza e pretenderemo un’ammissione di colpa.
Direttivo di Buongiorno Livorno