Riflessioni di una livornese come tante


Riceviamo e volentieri pubblichiamo la risposta di una nostra attivista all’editoriale di Simone Lenzi pubblicato sull’edizione fiorentina de “La Repubblica”.

Caro Simone,
mi sento di scriverti in assoluta serenità, senza livore, senza rivalsa ma soprattutto con lo spirito di chi può far ancora qualcosa per questa città, senza aspettarmi niente in cambio. Neanche da te. Ti scrivo perché oggi leggere il tuo articolo mi ha fatto riflettere molto.

La Livorno che porti alla ribalta nazionale in un quadro così drammatico e decadente non è la Livorno che vivo. Non parlo di calcio, parlo di quella fastidiosa sensazione che ho provato nel finire il tuo articolo. Ed io non sono di quelli che amano la nostra città ad ogni costo, sono spesso critica. Non perché i dati oggettivi da te riportati non siano veri, ma è la sintesi che ne fai che mi lascia amareggiata e delusa. Cerca di non fraintendermi, sempre se puoi. Sono delusa dal fatto che ciò che scrivi ricade sulle spalle e sulla reputazione di tanti che invece lottano ancora per questa città ogni giorno, e non lo fanno su Facebook, ma lo fanno in mille modi diversi che possono essere affiancati punto per punto a quello che citi tu della nostra città. Sì perché è anche TUA, non solo degli altri, di chi sbaglia, di chi fa peggio di prima, di chi c’è adesso, o di chi ci sarebbe potuto essere, ma tua e mia. E non è una metafora letteraria che mi riempie la bocca, sto parlando di me e di te, che abbiamo nomi e cognomi. Penso che ogni persona faccia la differenza e porti, come può, valore a quello che lo circonda. Che valore ha il tuo giudizio rassegnato, dal sapore salmastro dell’impotenza politica? Un’amara constatazione di cui non vedo utilità. Scrivi chiaramente che questa città credi di averla amata davvero: o non la ami più, o la città non esiste più. L’avresti amata ancora se la quintessenza del popolo si fosse espressa diversamente? Saremmo di fronte davvero, realisticamente ad una crisi meno dolorosa? Perché nel ruolo che ti sei mirabilmente ritagliato ci sono delle responsabilità e dei doveri. Sì, parlo dell’artista come dell’intellettuale. Perché quello che scrivi me lo aspetto da qualcuno che questa città la vuole definitivamente declassare, da qualcuno che senza alcun tipo di potere la giudica e la giudica senza speranza. Io non la penso come te. Io penso ancora che ognuno, e non parlo né di artisti né di intellettuali, ma ogni cittadino ha il potere e il diritto di fare qualcosa. Spesso questo potere si pensa di non averlo, ma ognuno ha il potere di fare il bene per la propria città. Anche se non è in un partito, o se non ci scrive un articolo sopra QuiLivorno, oppure non finisce in rete con l’hastag #alivornononcisiaannoiamai. Mi guardo allo specchio ogni giorno, non urlo, non inveisco, non sto tutto il giorno su Facebook a commentare questo o quell’altro, ma cerco di lavorare, cerco di essere una buona madre, di essere imprenditrice, applaudo anche Virzì se mi piace senza troppi problemi, e corro a comprare il tuo libro appena esce senza altrettanti problemi, eppure cerco di essere una valida operatrice culturale, di fare politica (sono attivista #BuongiornoLivorno) , ogni tanto partecipo alla “movida” (questo termine mi fa tanto ridere riferito a Livorno) e non sono finita in una rissa, cerco ancora di essere l’attrice che desidero, insomma cerco di essere semplicemente me stessa. Anche se di me l’Italia non sa e non saprà mai nulla. Eppure vivo a Livorno. E non credo di essere l’unica che non spicca, non appare, non sbraita, non finisce sul giornale, ma lavora o prova a fare il suo mestiere, ad avere una famiglia, dei figli, dei sogni, cerca di sopravvivere al meglio nonostante la bruttissima crisi in cui siamo tutti, ma lo fa provando a non delegare la propria felicità a nessuno, e fa quel che può. E non sono niente di speciale, non mi sento meglio di nessuno, però credo fermamente che questa città possa e debba avere un futuro. Un futuro concreto, non discorsi o lettere o post o articoli. Ingenua? Non lo so più se sono io l’ingenua, oppure sono ingenui tutti quelli che credono di non poterci fare più nulla, che non riguarda “loro” ma “altri”. Sai Simone, non ci crederai, ma penso che siamo i più. Quelli che non vuoi o non puoi vedere, quelli che smonterebbero nei fatti l’immagine da Mad Max che hai fatto di Livorno, con macchine in fumo e nonne con borsette piene di soldi ma armate di mazze chiodate. Da alcuni giorni ho in mente una frase di Pasolini: “il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono inconciliabili in Italia”. Caro Simone, penso che questa frase mai come adesso sia importante da comprendere e analizzare. Senza paura. Senza nascondersi. Guardandosi allo specchio e comprendendo la profondità di queste parole.

Non avendo facili soluzioni in tasca, ma solo uno sguardo più ottimista, ti faccio i miei più cari saluti.

A presto
Alessia Cespuglio