Orti Urbani di Via Goito – Facciamo un po’ di chiarezza


Livorno è da sempre, purtroppo, la patria dell’approssimazione politica. Approssimazione di chi ha amministrato la città negli ultimi venti anni, di chi la sta amministrando da diciotto mesi e di chi si erge a opinionista politico commentando fatti di cronaca sui vari quotidiani cartacei e online. Livelli di approssimazione diversi, sia chiaro, che in un caso si muovono (o dovrebbero muoversi) da scelte strategiche e progettuali e, nell’altro, dalla semplice esigenza di dire la propria opinione a ogni costo, spesso peccando di presunzione nel tralasciare un’analisi approfondita di documenti, regolamenti o atti formali. La questione degli Orti Urbani di via Goito e del progetto di trasformazione dell’area, presentato dal Comune e da CLC poche settimane fa, (tornato agli onori della cronaca in questi giorni per il blocco di alcuni lavori della proprietà da parte degli occupanti), va ben oltre la riduttiva e sprezzante definizione di “difesa dei pomodori autogestiti”, utilizzata da Simone Lenzi nel proprio editoriale domenicale. La stessa questione tocca infatti principi costituzionali e di assetto urbanistico territoriale che, evidentemente, lo stesso Lenzi ignora o vuole ignorare. Partiamo da un presupposto molto semplice, ovvero che la proprietà privata è regolata a livello nazionale da alcuni articoli della Costituzione tra cui, in primis, il numero 42 (“La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”) e a livello comunale e territoriale dalle linee strategiche del regolamento urbanistico e del piano strutturale, i quali dovrebbero tutelare e privilegiare l’interesse pubblico rispetto alla semplice esigenza privata di edificare o costruire (per questo nei secoli scorsi si è creata una disciplina di tutela culturale e normativa della proprietà che differenzia la proprietà stessa da una concessione dando la possibilità di utilizzare un bene di tutti per un determinato periodo).
In questo quadro, quindi, è bene chiarire che l’area in questione non può essere trattata e discussa come una proprietà privata pura, perché dal 2009 (quindi ben prima del 2014, data in cui la cooperativa CLC acquistò della Coop Italia tramite concordato preventivo i sei ettari di terreno) è stata trasformata in area di trasformazione per servizi (articolo 44 del piano strutturale) che prevede la cessione da parte del privato di almeno l’80% della superficie al pubblico. In altre parole, cercando di uscire dai tecnicismi normativi, essendo in corso una procedura amministrativa che coinvolge interessi privati e pubblici, parlare di diritto assoluto di proprietà è quanto mai fuori luogo e inopportuno anche perché, con buona pace di Lenzi, secondo il quale non ci sono alternative all’esproprio, lo stesso articolo 44 recita: “La cessione gratuita delle aree per servizi è pari al 100% dell’area nel caso in cui le utilizzazioni edificatorie vengano trasferite su altra area”.
Potremmo passare ore a discutere di come sia stata utilizzata nel corso del tempo questa pratica che, nella maggior parte dei casi, invece di tutelare l’interesse collettivo è andata a ingrassare e favorire gli ambiti speculativi scorporando, e di fatto togliendo, dagli accordi di convenzione gli oneri di urbanizzazione (ciò che il privato dovrebbe pagare per costruire su superficie pubblica). Forse sarebbe stato più interessante approfondire questi aspetti ma evidentemente, l’approssimazione di cui parlavamo all’inizio, condita dai soliti luoghi comuni sulla sinistra progressista, ormai ha preso il sopravvento.
La nostra difesa del progetto orti urbani si inserisce dunque nella direzione di una rivendicazione del ruolo che il pubblico può e deve esercitare nei confronti delle strategie di pianificazione urbanistica (che è bene ricordare sono le uniche, insieme al bilancio, sulle quali il consiglio comunale e quindi l’intera città rappresentata dal voto ha pieno potere). Gli strumenti di pianificazione citati in precedenza, associati ad esempio alla piena funzionalità del regolamento dei beni comuni, approvato pochi giorni fa dall’assemblea elettiva, possono delineare e ipotizzare percorsi alternativi in cui, nell’area di Via Goito, non venga edificato neanche per un 20%, spostando le utilizzazioni edificatorie in altre aree di trasformazione di servizi già utilizzate, senza necessariamente andare a costruire nuovi volumi, tutelando in questo modo anche il diritto del privato che in ogni caso, sempre bene ricordarlo, non può scavalcare quello del pubblico. Sostenere le rivendicazioni degli occupanti sull’opposizione a qualsiasi forma di cementificazione, in questo caso quindi, non è un esercizio di solo principio ideologico o finalizzato al mantenimento di alcuni interessi specifici ma altresì, strumento per un concreto approccio alternativo alle decisioni che riguardano il nostro territorio, come forma di ri-appropriazione del potere decisionale su ciò che ci sta intorno, un esempio di resistenza reale che l’intera comunità cittadina dovrebbe difendere e sostenere.
Tralasciando le derive su Leopardi (basterebbe rileggere “La ginestra”) e sul valore che viene dato al concetto di ritorno alla terra (anche quelle più attinenti a Tomasi di Lampedusa). Ci dispiace se per Simone Lenzi, che in ogni caso ringraziamo per l’attenzione che spesso ci dedica, tutto ciò non sia sufficientemente di sinistra ma d’altronde quello “direttissimo altrove” è sempre stato lui. La sinistra, quella vera, per quanto ci riguarda, invece è sempre qui, vicino alle esigenze reali.

Marco Bruciati
gruppo consiliare – direttivo BuongiornoLivorno

 

Foto di Paolo Ciriello